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Canta la terra
una nenia di vento
che polvere alza
e terriccio molle smuove.
Arriva la pioggia
su cocchi di nuvole indaco
e scarpe di bruma.
Bagna e sazia
il grano incolto
bacia e inebria i mosti odorosi.
Crepita la corteccia
e le foglie divengon ritagli di cartone
che ispirate, disegnano
e segnano
sentieri di solitudine.
E così le chiome silvestri,
divengon scrigni a cielo aperto
di rubini ed ambre.
Castagne e nocciole
divengon tappeti
e falde di funghi,
troni di Fata.
Ebbra dal succo dolciastro di viti,
l’aria s’alza e folle
si mette a danzare
sulle tegole delle case
sui bordi dei marciapiedi
tra le ciocche dei capelli
e le fessure di pelle nuda
che ancora odora di sole.
Si mette a danzare
e mette ali
al suo sospiro.
S’arrampica alle finestre,
scivola tra i tendaggi
e arriva
a bussare alle porte dell’anima.
Respiro...
Ingoio un affanno che sa
di fatiche di semina e raccolto,
di ruggine,
di terra secca e bruciata,
di legni antichi,
di promesse,
di speranze.
Canta la terra la danza di Mabon,
mentre sul pelo dell’acqua
l’ultimo sole di Lughnasadh, flotta.
Mi vesto di foglie amaranto
e con aghi di pino, cucio
la mia coperta di sogni
che mi tenga al riparo
dall’indolenza dell’inverno
e dell’uomo
che seppur parte di tal meraviglia,
girovaga cieco e sordo
incurante
di tutti quei versi
scritti
dalle Stagioni... |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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