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Tra le costole fragili
spezzate dalla televisione
che ci facevano guardare i tramonti
attraverso gli schermi digitali,
ci facevano scivolare
i capelli e l'accostarci delle nostre labbra
chimiche,
che volevamo tornare a ridipingere
i fulmini
e chiudi tutte le finestre che tremano i cieli
dal troppo piovere.
Ti ricordi quando andavamo a lavorare
solo per cambiarci gli abiti,
i panni sporchi buttati in lavatrice
che sudavamo freddo per lo stress,
fumavamo sigarette che ci costavano
qualche tempesta tra i nostri
occhi chiusi
e respiravamo smog che uscivano
dai nostri aliti per urlarci di fermarci
che non potevamo innamorarci,
non potevamo innamorarci,
non potevamo.
E dammi la mano
per farmi vedere le tue venature storte,
linee guida per le tue lacrime
che raggiungevano i torrenti,
che erano stelle cadenti,
che erano soffice piovere
sotto queste nuvole
che fanno ridere,
che ci fanno ridere.
Tra le fabbriche che lavorano di sera
perché sono in tempi di licenziamento
che sono in crisi finanziaria,
che siamo in crisi di malaria,
che siamo in crisi,
che siamo nomadi
e i carabinieri che ci arrestano
perché ci guardiamo troppo
e cerchiamo di baciarci usufruendo di alcolici
da discoteca,
perché siamo troppo innamorati
da aver paura
di innamorarci ancora.
Ci sembra di sbattere contro i vetri
ad un ritmo di 160 battiti cardiaci per volta
e poi,
poi arrivi tu
che spacchi le mie finestre con i sassi
perché mi sono dimenticato del nostro appuntamento
e ti porto a lavorare in mezzo ai campi
ad inchiodare stelle sui bracci di robot
metalmeccanici.
A bere cinque giorni alla settimana,
che non ci bastavano i soldi
per un tirocinio lungo i tuoi capelli lunghissimi
irregolari, con le doppie punte,
per una crisi di nervi che
ti si chiudeva lo stomaco
per la carestia di abbracci.
La nostra è una linea produttiva che sarà presto chiusa,
andremo in cassa integrazione
perché ci guardiamo troppo,
e troppo spesso ti sento dal cellulare
che stai piangendo,
che ci fanno chiudere le braccia
e ci spediscono a casa
ancora dormendo.
Le sere, ai parchi a tirare foglietti volanti
con il nostro nome sopra che vada a sciogliersi
negli stagni
a formare altre oasi,
dei deserti,
le tue occhiaie azzure
e i miei respiri profondi
sui tuoi capelli.
Che sembravamo ansiosi di provare
a distenderci un po' per non capirci,
un po' per non pensarci
a quelle finestre rotte da cui entra la pioggia.
E il soffitto ha dei fori
che sembrano proiettili
di una guerra di insulti
per quattro righe scritte,
per quattro parole d'amore.
A passeggiare per le metropolitane di Milano,
ad imbucarci nelle stazioni deserte
sulle panchine a dipingere i muri
con le tue poesie, ad afferrarci per i polsi,
a collassare sui pavimenti,
a disegnarci altri tramonti.
Potrei accarezzarti le lacrime
per mostrarti la pioggia
scivolare lungo le gallerie dei tuoi sguardi? |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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