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Come placenta molle
il mio pensiero
ti accoglie
nel velluto di giornate
malinconicamente
spoglie.
Solo tu
non devi bussare
alla mia porta
per entrare,
ma accarezzare,
e come punte di spilli
i minuti insistono
sulle mie ferite
e appassiscono
in una marcescenza di speranze
che arrossiscono
al tuo narciso cospetto,
nel mio immaginifico
ovatta imbevuto
di capriccio e dispetto.
Mi avvolgi nel ricamo
della tua pioggia fine
e non ne cerco riparo.
Mi sento al sicuro
anche se stanco
in quest'amore che brucia
al calor bianco
consumato nel ghiaccio
del tuo diniego
e nonostante,
serbo ancora il mio sussiego
quando a te mi cerco di approssimare,
ma il tuo no è definitivo
come un taglio di giugulare.
E' prensile il mio sentire
ma il tuo cuore di marmo
è amaramente levigato
e fallisce nel suo aderire.
Stolta,
riesci solo a dissentire
e a recepire
le mie
come
sincerità desuete
dolcezze acide
verità incomprese.
Sbatto, come un lembo
di nastro al vento,
ma non mi scuoto,
giostraio di una vita
che gira a vuoto.
La tua venuta nel mio quotidiano
è ormai consuetudine
e me ne sento adombrato,
un'abitudine a cui porre termine
per non essere terminato.
Non chiedermi altro,
questo solo posso darti e dirti
che sei il mio bene grande,
quello grande grande,
cosi tanto da non poterne dire
neanche quanto.
Parole banali queste che fanno male
perché parlano a me
e a me soltanto. |
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