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| Piccole gocce di lacrime tinte,
ch'assetano gli occhi pieni di gioia,
che chiudonsi timidi dietro larghe
ciglia e il fuoco illuminano, quello,
che del loro splendor si meraviglia,
restano carezzevoli a dar
fiducia, ché stremata guerra lasci
avvinta del bello sirena stinta.
Il mare sorride in quei diamanti
di luce, che corrono e saltellano
tra guizzi inesplosi, spinti dal vento
che gioca copioso. Il cuore stanco
ben stretto riposo e nel caldo petto
il verde di foglie, nuove e preziose,
dopo la pioggia risale nel fresco
mero vapor d'un sereno immortale.
L'ultima guerra del mio primo grido,
dopo il respiro di bolle rigonfie
di cui ancor l'acqua sovrasta l'udito.
L'ultima guerra più silenziosa,
in cui cade rugiada su uno stelo
molle a negar tutto e nulla soffrire.
L'ultima guerra di prena armonia,
che non si spezza né vuolsi perire.
Vuoto lo spazio tra Terra e Sole:
quel lungo tenersi distanti e stretti
così appesi all'assenza più sorda.
Fra i felini impazziti in guerra
balorda, davanti lo specchio a vita,
son quel gattone umano che, benché
saggio e imbarazzato, sta solo
lì in disparte a leccarsi le dita.
Come un nemico dal cuor sofferto
che in trincea le braccia ha aperto,
proprio così, lassi compagni noi siamo,
pieni e pesanti di più ferite
alla mano. La guerra è lontana
se lontani restiamo: quell'aereo
ci sfugge e ci insegue invano.
E quindi? Sei tu, caro mio amico,
la più bella poesia ch'io abbia gradito,
ch'ho letto e riletto forse impaurito
e che neanche l'istinto più savio
e agguerrito avrebbe di getto
scritto e tradito. Eppur tien distante:
che duro quel me, da me non si slega,
e duro sei te a che niun ti si lega. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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