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| Dell'acerba scultura, il destino perenne, già perse visione di giusta dimora,
Delle tre Grazie di culto, l'ispirato genio è soffio vitale di vivida bora,
Non nella roccia, immagine del cielo, la scultura diviene,
Nell'animo solo, il solco dell'arte, dal bello proviene.
Di domanda in risposta, del vero e del giusto, tu, testimone più duro,
Satiro divino, di sapienza e di spada, dominio d'incanto del mondo più puro,
Del vano sofismo, ozioso rigurgito della vita più bella,
Fai memoria di oblio, probante simbolo di buona novella,
Maestro mio, tu che, per viltà e giustizia, dall'Areopago udisti sentenza di parte,
Io che divenni, per foco e la notte, discepolo tuo e dell'incantevole arte,
Tu che, la verità voluttuosa all'inganno preferisti, arditamente vivendo,
Ci insegnerai, dell'anima il senso, nella prigione del Mondo, dalla Terra ascendendo. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
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«Con questa poesia ho voluto immaginare lo stato d'animo del giovane Platone di fronte all'imminente morte di Socrate. L'idea mi è venuta ammirando il noto di dipinto di Jacques- Louis David denominato "La morte di Socrate", pur differenziandomi radicalmente dallo stesso riguardo la reazione di Platone all'evento rappresentato. Se, infatti, l'artista francese, raffigurando lo sconforto di Platone, intendeva evidenziare il suo stato d'animo più veritiero, era mia intenzione immaginare quale dovesse essere il suo stato d'animo più "vero" di fronte all'immortalità dell'insegnamento socratico.» |
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