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Cosa ricordi di me da piccolo,
da tempo te lo volevo domandare,
tanto sai che i ricordi
fanno sangue.
Io, malgrado tutto,
la testa irosa della tua mano
nella mia,
lungo le procellarie stinte
che si comprano le onde come
la donna l'uomo facoltoso.
Malgrado tutto
mi gioco la piena
dei sbuffi di un mare
pomposo
e tu mi citi come al giudizio nervoso
delle coste che s'allungano
sino a Santa Maria.
Ma ciò che mi sovviene
è nell'entroterra.
Rivolto alle stanze più intime
ti precedo come un ombra lunga
in una strada che porta
stanca i suoi incroci.
Ho composto le mie parole
su di uno strale di terreno
grave che è poi attecchito
in viti e grano,
quei tralci che ora
m'affettano al di sopra
dell'inguine
ma soffi sulla testa
d'ognuno
come un uragano su di una
manciata di paglia.
Il nostro passo intercede ora
in un brullo smottamento
comparabile ad una cascata di biglie.
Sei sicuro di recarne pace
in questa lingua scoscesa
per la sete!
La tua stretta ricorda
l'esilio,
è la tua che s'è slacciata
come lo sguardo di una
bandiera al vento
per ricostruirsi vedova.
Se non è un abbraccio
è una consorte quella spanna
che approda su di un largo
cappello di spalla.
Lui... ricordai quel volto sospeso
tra la luna piena
e un rigonfio tumorale.
Smazzettava spesso col
mio babbo...
piccoli pregi,
madonne lanciate in aria,
largo scarto su di una caduta
dichiarata.
Il Santo imbottigliato,
un muso paccottigliato
nell'alcool
e al fine il di mio
che accondiscende la grazia...
notte fatta!
Per i miei dieci anni
babbo mi regalò un
cucciolo.
L'amico,
gonfio di pecore,
non spesso di indiscriminate
nascite,
m'appostò davanti ad
uno sconforto di gatta
appena sgravata.
Delle tre carte calate
come uno scudiscio
io scelsi la più ritrosa,
ma chi può mai dirlo...
delle altre due
il connivente del mio
vecchio
ne fece un zuppo secco
nell'acqua. | |
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