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Quando Notte silente il mondo avvolge
nel brun mantello e suoni e l’odor tesse
e vedi a cotal vel che invano volge
la grassetta manin la bimba in spalle
a coglier ché nel creder suo s’involge
le stelle esser coriandoli o farfalle
così la mia tremante ad un bagliore
che per corpo mortale in terra ha calle
tesi ansioso sì che’l suo chiarore
di sé fe’ pregni lo spirito e le ossa.
D’allora della tenebra il timore
non spaventava più lo sonno e ‘ndossa
ogni notte’l pensiero mio le vesti
del rimembrar di quella luce grossa.
Rischiaravano il tempo quegli onesti
sussurri del re Eolo delicati
quand’esortavi l’occhio a sguardi desti
mentre alla silenziosa volta alati
s’ergevan nivei fianchi di colomba;
rifuggi Orion e l’omini affamati!
Oh beltà rara che le membra slomba
scorsa è l’era spogliata del sfiorarmi,
scappato è’l tempo del tubar che piomba
su pulsanti ven più che illustri carmi;
d’alitar che non frega questa pelle,
di coscienza ch’abbassa li gendarmi
allo sguainar dell’iride che svelle
l’anima da le carni, e mai più torna.
Non so se come Venere t’imbelle
posarti dispettosa o se t’adorna
de’ suoi violetti fior la calma Malva;
intessi’l mio destin eterna Norna!
Se come Cassiepea che ogni valva
de’ tuoi capei boriosa e vanitosa
pettini e non sarìa fanciulla salva.
Fermo sarìa Perseo ché qui si osa
dir che ve n’è un tra le bellezze in terra
eletta a non temer la bestia ascosa.
Se’ cresciuta ed or la mente m’erra.
Convien ch’alcun rimedi alla disgrazia,
ché non spiego l’amar chi non afferra.
E come tal che per pazzia o grazia
raffigur dianzi imagine divina,
e rispetto e paura fa gol sazia,
rivelamisi innanzi che abbacina
sagoma in lume legger da ogni soma
onde discernea nulla pur con trina
sì che del dir si rischia Rom per toma,
così a lei di spalle fui prostrato
sudando freddo e senz’alcun idioma.
Voltossi e ‘l guardo offeso e fulminato
costrinsi a ritirarsi ché tal gloria
era straniera all’occhio omai inquinato.
Animose, affettuose e senza boria
posò cara le mani sul mio viso,
sì ché sconfisse ciò che’n cor fa Moria.
Guardommi e donò allo stesso un riso
e seguitando dolce a dir: "Figliuolo". |
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«Questa rappresenta il secondo pezzo dell’ultima poesia concepita in una notte insonne. Il racconto termina al parlare di quella sagoma nell’abbagliante luce. Proprio qui, da questo istante, comincia la vera e propria analisi introspettiva, che verrà raccontata nel prossimo componimento. xD» |
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