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| "...Questo è il Serchio
al quale hanno attinto
duemil'anni forse
di gente mia campagnola
e mio padre e mia madre...
(Giuseppe Ungaretti, da "I fiumi" 1916)"
La mia terra
Sai pà,
ricordo ancora quando
mi leggevi queste rime
nei meriggi che trascorrevamo
a bighellonar sul fiume.
Eran gli anni della guerra,
delle cose da dimenticare
e di giornate sconfinate.
Ne è passato di tempo,
ma quel nostro paese lo ricordo bene,
e se chiudo gli occhi
mi tornano alla mente i suoi colori,
i suoni, le voci del suo fiume,
i profumi
e quella quieta austerità d'antiche mura
che dal colle dominavano silenti.
Rivedo la piccola stazione,
incastonata
nell'ombroso viale verso Lucca,
la via sterrata volta all'ultima dimora,
domicilio nostro e delle antiche schiatte.
La forgia scintillante
e la possente ruota
che muoveva la pietra per molare.
Odo ancor
diffondersi nell'aria
il colpo doppio
sul mariscalco corno,
l'aspro odor di zoccolo
dei cavalli da ferrare,
lo scroscio della fonte
e i rintocchi del passaggio ferroviario.
Della tua casa
ricordo gl'innumerevoli gradini,
le vaste stanze
e quell'austera madia
dove in panni immacolati
la nonna affidava al tempo il pane.
Sul retro l'orto,
che a piccole terrazze s'acquistava il colle.
Più avanti,
all'ombra di una antica chiesa,
v'è l'asilo avvolto nell'alloro...
e quel negozio,
di cui ora mi sfugge il nome,
dove frammisti ai volti della gente,
m'incantavano i profumi
e quelle ironiche battute con la "C" mancante.
Nell'agreste quiete
dei tramonti
odo ancor
le voci,
che al vespero si davano nei campi,
e quei fruscii
di macchie lungo il fiume
ch'erano cornice alla steccaia spumeggiante.
Io son li,
su quel sentier che,
serpeggiando il colle,
mi guidava all'albero proibito,
e di lassù,
dove i sogni sapevano volare,
la casa della mamma
m'incantavo ad osservare.
Oh si...
mi ricordo di te
grande casa silenziosa
dove tutto m'era dato per amore,
e di te,
gelosa stanza profumata,
dove ogni ombra sembrava aleggiasse viva,
ma dove a me non era concesso entrare.
La vedo ancor com'era allora,
col suo camino ardente
sotto la vasta scala,
luogo e tempo in cui la schiva gente di famiglia
la sera s'incontrava.
L'odore antico
dell'arredo scuro ed imponente,
gli scricchiolii del legno
che di notte m'incutevano spavento,
i rintocchi della pendola francese,
le fiabe della zia,
i sogni,
i dolci,
le troppe stanze silenziose
e quell'ombrosa córte dominata dall'imminente rocca.
Financo te ricordo
fresca lama d'ombra
dei meriggi lungo la statale,
luogo colmo d'amorevoli presenze
e d'infinite confidenze,
che non appena sussurrate
guizzavano nel Serchio,
per avviarsi, poi, ad arricchire il mare.
Dio come vorrei ciottolare ancora quei sentieri
aggrappato alla tua grande mano.
Vorrei spaziare,
vorrei migrare,
vorrei che il tempo si torcesse,
e tu, papà,
mi venissi incontro
per assopirmi ancor tra le braccia tue.
Nulla è mutato nel ricordo.
Tu,
il tuo sorriso
e il caldo nido
del tuo cuore
m'han donato il sapore dell'antico,
e io lo porto in me
questo nostro dolcissimo paese.
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Mcb |
18/05/2010 04:52 | 744 |
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