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♦ Bruno Leopardi | |
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Elena Poldan
Le 545 poesie di Elena Poldan
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Nascosto
nella parte piú remota del cervello
vive un lago di silenzio
acque scure
giacciono senza vento
in esso s’inabissano
inesplorati
dolori rarefatti dal tempo
tormenti diluiti
dall’affastellarsi di impegni
sedimenti
che una ragione
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unghie di metallo
questi strazi d'inverno
Acheronte cocente
discende ferendo
solca avvampando
infiamma d’inferno
sepolcri fumanti
scuciono cicatrici
su nervi di cristallo
è una gabbia questa nebbia
di smarrimento
dubbiosi i
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la mia anima è di panna
si sposa bene ovunque
ci sia dolce accogliente
si amalgama naturalmente
in connubi golosi
scivola leggera fra arabeschi deliziosi
si scioglie svogliatamente
in stille bianche
la mia anima è di panna
si
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e oggi m’incateno alle mie spine
rigogliose figlie della mia linfa
mi lascio trapassare lentamente
fino a udire il sibilo del dolore
sentendole affondare e trafiggere
avvertendomi sanguinare e perdere
-mi piace-
è tiepido annegare
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alle soglie del mattino
alita qualcosa di strano
è la notte che scompare
come spettro fra le pene
ma ancora si trattiene
svelando il volto vero
che non tace e non dice
riccioli d’argento fregiano il mare
che inizia a
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non viaggio fra i numeri
in calcoli e millimetrici riquadri
entro serie finite
e tristi parallele
le mie s’incontrano
e insieme volano
danzando ascendono
eludendo i limiti
oltre la misura
oltre selciati aridi
oltre imposte addizionali
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| sono sabbia dispersa nel vento
frammento di mare
scaglia di sole
sono nuvola che scompare
io non ho radici
sono avulsa
a un palmo da terra
fiera sulla vetta d’una montagna
agitata dai venti
fra capelli scomposti
e una tunica bianca
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replica il ricordo
nel frastuono di uno sbadiglio
mentre rifaccio l’orlo a sfilacci
di pensieri
spolvero le mie porcellane
con guanti d'oblio
non oso fiatare
di frantumi ho le tasche piene
pendono ragnatele dal soffitto
ma morto é il
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Vado avanti
devo farlo
è la vita
e stordita
freddo automa
vado a scuola
a insegnare
torno a casa
affaccendata
parlo tanto
non mi ascolto
l’ho rinchiuso
il mio dolore
nessuno può sentire
ben celato
ben nascosto
sul mio viso
ho
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Il tempo come un’armonica
si contrae e si dilata
ma talvolta si ferma in un istante
che si gonfia ed esplode
e si rigonfia e ti ritrovi dentro una gabbia di sudore
fra parole stritolate dentro silenzi
l’ansia è una lama che dilania
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Foglie si staccano dal silenzio
s’inoltrano volteggiando in un pulviscolo di ricordi
che naviga sospeso come in un limbo
Pezzi di me si staccano
li vedo inoltrarsi oltre il Tempo
e scomparire dietro cortine
chiuse al mio sguardo
Rimango
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Ho smesso di ascoltarle
tutte quelle voci
e i sussurri
che m’inondavano i pensieri
come maree improvvise
a sovvertire ogni ordine
o per portarmi via
su anfratti variopinti
a volte era un riflesso d’estate
a risvegliare fra nebbie
un palpito
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A volte l’anima diventa un deserto
quando nebbie s’infittiscono
e i pensieri diventano macigni
o gocce perforanti
sgretolati inverni
a volte s’annega in albe senza sole
in spazi illimitati e vuoti
nell’oblio dei cari
che s’allontanano
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scivolano lente le ore in questi giorni
con le lancette impazzite
che invertono il senso e la velocità dei minuti
e i secondi si gonfiano all’infinito
diventando anni
e le ore scorrono leste
come inseguite da valanghe
assorta osservo il
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soffia un vento forestiero
sulla radura della mia anima
avvolgendo di silenzio
la mia solutidine stanca
dimenandomi fra paure e presagi
d’un domani nebuloso
sfido tempeste d’ansie
scolpendo ogni giorno
un nuovo pensiero
batto forte contro il
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L’aria si raffredda nei viali piovosi dell’anima
ed io mi congelo in questa solitudine che sa di morte e foglie volate via
senza neanche un arrivederci o un addio nel rimpianto di una carezza
raggomitolata dentro la tristezza
tra i presagi di un
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Leggi la biografia di questo autore!
Invia un messaggio privato a Elena Poldan.
Indirizzo personale di Elena Poldan: elenapoldan.scrivere.info
ogni volta che una bruttura stonava le note felici delle mie giornate
incespicando fra cespugli e rovi di parole
correvo da te che lesta sfrondavi ogni male
e me lo rendevi figlio del sole
eri di sale e di terra
la mia casa
la mia stella
la
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Tutto sembra sospeso
Nell’attesa che qualcosa accada
Che qualcuno ci veda
In questo sentiero d’un tratto deserto
Tutto sa un po’ di morte oggi
L’estate è già finita
Di lei resta solo un flebile raggio di sole
Illusoria sensazione di qualcosa che
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A volte m’aggrappo al vento
alle sue folate scomposte
e divento tempesta
foglia che vortica in se stessa
senza senso senza risposta
e poi si ritrova avvinta ad una superficie
sconosciuta a se stessa
svilita nella sua essenza
sorgive nascoste
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Siedo ai margini
di un tavolo rotondo
osservandomi gli indici
così poco convinti
e poi i piedi
distratti e contrari
mi cerco
corro a specchiarmi
mi piace il mio volto sognante
capriccioso naso francesino
è stretto questo mondo
nelle sue
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M’incateno ai ricordi
sicure ancore su abissi profondi
o forse illusioni
di lune e di nebbia
quando mi perdo in me stessa
ricamo i giorni fra scoperte
in quell’isola ormai deserta
con il sole in testa e un bastone in mano
per non perdermi fra
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nevicano le ore di questa estate
sulle onde malferme di giorni vuoti
come album da disegnare
mentre cerco appigli in cuori distratti
inciampi in un deserto che a tratti si colora
di nuovi slanci e riscoperti tesori
passa il tempo
come un
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Mi dondolo in ricordi sempre più sbiaditi
mentre avverto la mia anima assottigliarsi
in questo funerale che non finisce
nel letargo d’un abisso
mi sveglio a tratti
a tentoni vado avanti
come automa senza specchi
da quel giorno solo un sibilo
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Sorgerà ancora il sole nelle mie mattine di vetro
quando le mani smarrite s’occultavano nel vuoto d’un altro sbaglio mancato
e il giorno era un sogno non osato
prigioniera dietro sbarre di paure
sotto soffici e calde coperte nascondevo la mia sete di
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In bilico fra abisso e paradiso
mentre qualcosa prende forma
in sonni sudati di risvegli
quando il tempo è un ricordo
e il presente un cammino
nonostante quel cielo che sembra ingoiare
È un arrancare fra deserti e sorgive
barcollare fra
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Scivolo
diluendomi
mi specchio in pozzanghere senza fondo
non trovando mai la mia immagine
(era neve candida o forse sole di spiagge
quel passato lontano)
oggi solo finestre da cui sporgere
per poi ritrarsi
è un cercarsi senza sosta
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svegliarsi da un torpore
e ritrovarsi a fissare le foglie
come impresse in pensieri saltati fuori
da una notte di doglie
avvertirsi in un piccolo cuore
trafitto da un ostile sentire
ignorato da occhi di ghiaccio
nell’indifferenza che ingloba
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Colori di sole le giornate più nere
con uno sciame d’allegre lampadine
arrivi d’improvviso a illuminare i miei silenzi
così densi d’assenze e compresso dolore
quando un’altra alba muore
e le mani sono fogli bianchi
nell’esistenza che si riempie
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Il vuoto che hai lasciato rimbomba
in questi pomeriggi ovattati di silenzio
quando mi sento una spora
che vaga senza patria
quando l’immensità delle ore e dei giorni
dilatati dal rimpianto
diventa deserto
quando i miei passi
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si sta in bilico
fra disperazione e follia
su di una fune
attaccata al nulla
dall’altra parte del vetro
di una vita senza soste
attenti a non precipitare
rovinosamente su cumuli di macerie
fra i nostri giorni distrutti
dal caso o dal
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545 poesie trovate. In questa pagina dal n° 1 al n° 30.
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