Nella mia vecchia grammatica "Lo studio e l'arte dello scrivere. Per le scuole medie superiori" , di Umberto Panozzo, ed. Le Monnier, 1963, c'è scritto che l'elisione e il troncamento sono "piccole alterazioni delle parole" , "per rendere più armonioso il discorso" (pag. 35) . Non vedo francamente nessun motivo per cui il troncamento dovrebbe essere tanto ripugnante in poesia! Do ragione al Chiti: un poeta, anche se grande, non può permettersi di imporre il suo modo di vedere e di procedere a tutti!
Da modestissimo linguista, poi, mi viene la voglia di fare un esempio credo originale (penso che non si trovi in nessun libro) : tre diversi modi di pronunciare il nome della nostra bella e talvolta ingrata patria.
La pronuncia sdrucciola inglese, " ìtali " , non ci comunica un senso di distacco, di superiorità da parte di chi la usa? Sembra che a chi viene a visitare la nostra nazione basti dare soltanto il primo sguardo (l'accento sulla prima vocale) per capire già tutto, per formulare (c'è da supporlo) un giudizio non tanto positivo...
La pronuncia piana italiana, " itàlia " , è molto più realistica: l'osservatore si pone al centro, diciamo nella capitale (l'accento sulla seconda vocale) , e da lì esamina sia il bene che il male.
Ma la pronuncia tronca francese, " italì " , non è forse la più armoniosa (per ripetere la parola di Panozzo) , la più amorevole, la più poetica? L'ipotetico visitatore sembra entrare un po' freddamente nel nostro Paese, ma poi, immedesimandosi nell'accento sull'ultima vocale, pare considerarlo più entusiasticamente alla fine del viaggio, restarne ammirato e soddisfatto!