Baiano
D'estate,
era inondata di luce.
D'inverno,
percorsa dal vento.
Una collina d'argento,
colma di ulivi.
la sovrastava.
Pietre vive a gradoni.
Una cupola piccola
e macchie di vita,
colorate,
diroccate,
raggiunte col fiatone.
In alto,
boschi,
da cui intravedere,
digradante,
la strada,
la "storia"
le "civiltà",
il Vesuvio.
Il mare col sole
nel brillìo dell'iride,
ondeggiante nella immaginazione.
Molti
fino a lì,
(di cui pure sapevano)
non c'erano mai arrivati.
Qui un grappolo di case arse,
bianche di calce,
sparse
in una conca stretta,
e sentieri che vi si dipanavano
Ci si viveva,
qui e lì,
fra campagne
e abitato.
E soprattutto le donne cantavano.
A voce alta.
Melodiose.
Condividendo,
vestali,
le cose di tutti.
E gli uomini parlavano poco.
Sapevano l'uno dell'altro.
Non avevano remore
verso il resto del mondo:
mosaico di tetti e ciliegi
che baluginava a valle.
Erano solo necessari lì.
E se bisognava partire,
così come altrove,
si portavano dietro un bagaglio
che non si sarebbe mai disfatto davvero.
Fino alla morte.
Noi continuavamo a inerpicarci,
gambe scoperte,
scorticate,
(lividi, grida, concitazione).
Su contrafforti verdi,
fra brecce
che,
umide,
scure,
tagliavano il bosco.
O serpeggiavano,
polverose,
sulla collina lucente.
Per poi,
a tratti,
scrutare l'orizzonte.
Uno sguardo
e un mito fuggente sulla bocca di qualcuno.
Quel fiatone ci bastava,
empito del mondo.