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… Non basta che l'esercito dei dolori fisici e morali che ci circonda sia stato generato: il segreto del nostro destino ridotto in stracci non ci è rivelato. Lo conosco, l'Onnipotente… e lui pure deve conoscermi. Se per caso camminiamo per lo stesso sentiero, la sua vista penetrante mi vede sopraggiungere di lontano: prende una via traversa, allo scopo di evitare il triplice dardo di platino che la natura mi ha dato al posto della lingua! Mi farai piacere, Creatore, se mi lascerai sfogare i miei sentimenti. Maneggiando le terribili ironie, con mano fredda e ferma, ti avverto che il mio cuore ne contiene a sufficienza per pungolarti fino fine della mia esistenza. Colpirò la tua carcassa vuota; ma così forte che m'incarico di farne uscire le particelle residue d'intelligenza che tu non hai voluto dare all'uomo, perché saresti stato geloso di renderlo come te, e che ti eri sfrontatamente nascosto nelle budella, bandito astuto, come se non sapessi che un giorno o l'altro le avrei scoperte col mio occhio sempre aperto, e le avrei tolte, e le avrei divise con i miei simili. Ho fatto come dico, e ora, non ti temono più; trattano con te da potenza a potenza. Dammi la morte, perché la mia audacia sia indotta in pentimento: io mi scopro il petto e aspetto con umiltà. E voi apparite irrisorie amplitudini dei castighi eterni! enfatici dispiegamenti di attributi troppo vantati! Egli ha palesato l'incapacità di fermare la circolazione del mio sangue, che lo sfida. Eppure ho la prova che non esita a estinguerlo, nel fiore degli anni, il soffio di altri esseri umani, quando appena hanno gustato i piaceri della vita. È semplicemente atroce; ma, soltanto, per la debolezza della mia opinione! HO visto il creatore, pungolando la sua inutile crudeltà, appiccare incendi in cui morivano vecchi e bambini! Non sono io a iniziare l'attacco, è lui che mi costringe a farlo girare, simile a una trottola, con la frusta dalle corde d'acciaio. Non è forse lui a fornirmi le accuse a suo carico? La mia oratoria spaventosa non si esaurirà! Essa si nutre degli incubi insensati che tormentano le mie insonnie…"Isidore Ducasse (alias Conte di Lautréamont)
Ammiro molto lo sforzo sovra-umano del conte di Lautréamont di attirarsi tutta la negatività ed esaurirla in sé, salvando così i suoi simili, i suoi confratelli, e liberandoli da tutto quello che li assilla ogni notte, e ogni giorno. Lo stimo, come un grande eroe ed un vero martire dell'esistenza
illuminata, che ha preferito affrontare a "petto nudo" le incongruenze della vita, causate dalla mala interpretazione e originatrici del Male. Ma, nella mia parte più recondita sento di essere in disaccordo con il conte. Faccio fatica ad accettare una posizione così dicotomica che non veda altro che il bianco e il nero, e non consideri quel mondo meraviglioso che si staglia nel mezzo, il mondo degli "sfumati" che il divino Leonardo, riuscì a rappresentare in pittura attraverso la "poetica degli affetti". Non riesco ad accantonare l'idea di Dio e non riesco neppure a sopprimere la mia esigenza quotidiana di "pregarlo"! Questo Dio del quale non riesco ad essere nemico, non è il dio barbuto o quell'
architetto giostratore che adesca la Vergine e le fa concepire un super-uomo ecclesiastico… Ma quel Dio è il "Padre del Padre" e non un Signore. Non è una figura che si possa racchiudere entro schemi "
umani", ma è quell'Essenza, nel senso più pieno della parola, che travalica ogni possibile dicotomia, e la cui ragione ingloba tutte le altre. È l'Essenza che mi ritrovo a pregare tutti i giorni ciò che mi permette di scrivere in questo momento, e di respirare, e a tutti i cieli di tutti gli universi di brillare. Questa Essenza è la culla di tutte le intuizioni, è la fucina entro la quale si plasmano i moti dell'animo, le stagioni, le gioie assolute come i disastri più immondi, è quel crogiolo dell'assoluto entro il quale vengono centrifugate tutte le possibili possibilità dell'essente, e dove si ritrova come in un vecchio nonno la speranza ed anche l'oblio. Non ci si può estromettere dal gioco che quest'Essenza ha posto in essere per noi, dal momento che noi stessi ne facciamo parte, e ingiuriando e sfidando Dio, come fa il conte, è ridurlo ad essere un semplice "nemico", una figura concepibile, ridurlo ad una nostra impressione, quando in realtà la concezione stessa di quello di cui noi possiamo discutere è frutto della magnanimità e della potenza di questa Essenza primordiale.
Così, caro conte, io ti stimo e credo tu sia un autentico eroe, ma per il fatto d'esser la mano di Dio a scrivere in questo momento e d'esser l'orecchio di Dio ad ascoltare, non posso voltare le spalle all'Essenza della quale non potrei fare a meno, essa è la matrice assoluta, dalla quale tutto si manifesta. Noi tutti, caro conte, siamo dei cumuli di materia; ma se non esistessimo in quell'Essenza, che cosa sarebbe? E, come si domandava un tempo Leibniz:
"Perché l'essere piuttosto che il nulla?"
Chiudo le palpebre mentre l'acqua del Lete, del fiume d'oblio, m'attrae e come uno sciamano sguaiato torno ad annegare nelle mie particelle immanenti e divine.
Ciao maledetto eroe, conte di Lautréamont