Dalla stessa autrice di "Capriole cosmiche" per mano a Dante e a Chesterton, Annalisa Teggi
Quanti pensieri tremendi dietro a un "Buongiorno"
Quando vidi costui nel gran diserto,/ «Miserere di me», gridai a lui (Inferno, canto I)
Capita, forse troppo di rado, di svegliarsi riposati e in armonia col mondo. In questi rari momenti accade che tutto quel che ci sta attorno, pur essendo il solito panorama, ci pare incantevole: il caffè, la strada, una canzone alla radio, il saluto del collega sembrano darci il benvenuto nella giornata che ci attende.
Con lo stesso buonumore anche il signor Pickwick – ci dice Dickens – si trovò un mattino a far colazione in riva a un fiume. E mentre indugiava estasiato a osservare le nubi, i prati e i pescatori indaffarati, gli si sedette accanto un uomo, un semplice conoscente.
Dopo i convenevoli di rito, quell’uomo all’improvviso se ne uscì dicendo tranquillamente a Pickwick: «V’è mai venuta l’idea, in una mattina come questa, che l’annegarsi potrebbe essere la felicità e la pace? (…) Io ci ho pensato più di una volta, mi pare che quell’acqua calma, fresca, vada mormorando un invito al riposo. Un tonfo, uno sprazzo, una breve lotta; nel primo momento si forma un vortice, poi l’onda s’increspa e gorgoglia; le acque si son chiuse sul vostro capo, e il mondo s’è chiuso per sempre sulle vostre miserie. (…) Andiamo, basta così. Io volevo dirvi tutt’altra cosa».
Chissà quante volte in ufficio, a scuola, al bar ci sta accanto qualcuno a cui passano per la testa pensieri pressanti e tremendi. Chissà dietro quanti «buongiorno» e «buonasera» è nascosto il dramma di un dolore taciuto, e che nel silenzio morde e lievita. Rimarremmo turbati come Pickwick, se potessimo accorgerci con disarmante trasparenza del putiferio incasinato che tormenta quelli che ogni giorno incrociamo.
Certe notizie sono ormai etichettate come «suicidi per la crisi», le leggiamo addolorati eppure distaccati; finché quello che finisce sul giornale è Giovanni, il benzinaio che vedi tutte le settimane – come mi scrive un’amica. La testa, allora, perde le staffe, scoprendo una voragine dove credevi ci fosse un sorriso. Giovanni, davvero lui? Ma chi quello che ha una parola buona per tutti e non sta lì a badare al centesimo? Sì, s’è buttato giù dal decimo piano dell’ospedale a Padova.
E lei me lo descrive così: «Quello che notavi erano gli occhi d’un azzurro intenso che sorridevano ed era un sorriso vero, bellissimo». E non è poco incrociare, mentre vai al lavoro, lo sguardo buono di uno che diventa un conoscente a forza di «ecco il suo resto» e «grazie, arrivederci». Un conoscente … eppure – accidenti – così sconosciuto. Solo a pensarci monta la rabbia, una rabbia piena di affetto. Perché soffri a pensarci, lo perdoni eppure non lo perdoni. No, quello che ha fatto non glielo perdoni, eppure non smetti di abbracciarlo.
Al di là del groviglio dei «perché» (tipo: come è potuto arrivare a tanto? E io come mai non me ne sono accorta?), forse qualcosa ci si può arrischiare a dirla, come memento a se stessi. Ammettiamolo: quando ne va della vita, al diavolo il contegno!
Meglio essere scomposti, sguaiati e sconvenienti, cioè: nessun timore di mostrarsi sfiniti e vulnerabili, come fece Dante, quando nella selva gridò senza remore il suo dramma al primo (ancora) sconosciuto che gli venne incontro: «Abbi pietà di me, mi sono infilato in un deserto, aiutami».
@AlisaTeggi