Il sincero Francesco Falconetti mi ha fatto rivivere le sensazioni provate il primo anno in cui ero nel sito: anch'io un po' mi vergognavo, non ero contento di vedere il mio nome e cognome su "Google" , confidavo in un equivoco dovuto all'omonimia (ci saranno più di cento Antonio Terracciano in Italia... )
Anche se queste sono preoccupazioni che passano con il tempo, rimane comunque la domanda di fondo: perché ci vergognamo? Penso che ciò dipenda dal fatto che il mondo ultramaterialistico in cui viviamo non vede bene la nostra attività, che non produce nessun vantaggio economico (o vantaggi irrisori, per i poeti famosi) . Chi si dedica a qualche arte non remunerativa dà l'impressione di essere un po' fuori dal mondo, se non fuori di testa...
In realtà, io penso che l'opinione della massa non sia poi tanto sbagliata: tutti noi che scriviamo siamo in qualche modo (per svariati motivi) un poco eccentrici, non "normali" (e alcuni poeti sono anche finiti in manicomio... )
Del resto, senza queste nostre peculiarità non potremmo aspirare a vedere le cose, e a renderle poi in poesia, in quel modo tipico degli artisti... Noi vediamo più lontano degli altri, e la lontananza fa spesso paura!
Quasi tutti i grandi poeti del secolo scorso si sono un po' vergognati, e preferivano nascondersi dietro un'altra professione.
Arrivati a un certo punto, però, la nostra persona comincerà a contare sempre meno della nostra produzione che, se valida, andrà avanti da sola sulla strada della condivisione e del gradimento, offuscando (come è giusto) quel padre (o quella madre) che l'ha generata.