Solo et pensoso i più deserti campi
vo mesurando a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio human la rena stampi.
Altro schermo non trovo che mi scampi
dal manifesto accorger de le genti,
perché negli atti d’alegrezza spenti
di fuor si legge com’io dentro avampi:
Sì ch’io mi credo omai che monti et piagge
et fiumi et selve sappian di che tempre
sia la mia vita, ch’è celata altrui.
Ma pur sì aspre vie né sì selvagge
cercar non so, ch’Amor non venga sempre
ragionando con meco, et io co llui.
Fu questa la lirica su cui dovetti fare l'analisi testuale nel concorso a cattedra cui partecipai (e che vinsi), nel 2000. Motivo per il quale nn lo dimenticherò mai e mi è oltremodo caro... tutto partì da questo testo: la mia carriera di insegnante!
Ma oltre ai motivi di ordine personale, trovo il testo molto intenso e foriero di forti emozioni nella descrizione dell'avvilente mal d'amore, seppure rispondente più a ragioni di scuola ("Dolce stil novo") che a sentimenti reali. Un uomo si rifugia in luoghi solitari per evitare lo sguardo delle genti, per pudore di mostrare il proprio stato di prostrazione dovuto ad un innamoramento non corrisposto (nei confronti di Laura), che lo rende irriconoscibile e i cui segni sono talmente evidenti che finanche gli elementi della natura sicuramente li noteranno. Ma non serve fuggire da nessuna parte perchè il mal d'amore viene da dentro.