Su una poesia scritta da Gaia io mi ci "abbutto" come il pesce di fiume ad un'esca sfiziosa, anche se alla compilazione della lirica hanno partecipato fior di poeti da lei elencati.
Se mi dovessi, con permesso, aggiungere anche io a 'sì illustre schiera e potessi dire la mia, mi permetterei di correggere il primo verso della seconda strofa, laddove si poeta "non riesco a PALAR d'amore"."
Si capisce comunque quello che si voleva dire, e il gruppo poetico, all'unisono voleva evidentemente esprimere questo concetto, ed io pertanto qui lo correggo: "Non riesco a SPALARE l'amore". (metafora che ci sta in questo tempo bizzarro che ancora fa cadere la neve, che va anch'essa spalata).
Credo di avere interpretato esattamente il pensiero del poetico conclave.
Bella la contraddizione in termini della penultima strofa, le contraddizioni sono sempre affascinanti: "sui rami spogli \ ornati adesso dalle prime gemme."
E' piacevole immaginare l'albero spoglio, cioè con i rami scheletriti, e contemporaneamente vederlo fiorito di gemme.
Sarebbe lo stesso come dire: "Mi sono pettinato, sul mio cranio calvo ("cranio polito" lo chiamava il D'annunzio, grande poeta completamene in piazza), i capelli che il vento spettinava." Bellissimo.
Per quanto riguarda il titolo da dare a questa lirica, io la intitolerei, tenuto conto del fatto che è stata composta con la collaborazione di un numero nutrito di poeti: "CHI FA DA SE'..." intendendo dire "che fa per tre", come recita il proverbio, e che le frittate vengono molte meglio se sono opera di un solo cuoco.
L'amica Gaia sappia leggere questa mia nota nel modo dovuto, non me ne voglia e, conoscendomi, faccia pure un bel sorriso esclamando "Questo è propio matto!". Io confermo fin d'ora questa sua ipotetica considerazione del sottoscritto.
Saluti al nutrito complesso poetico, forse un poco affetto da "distrazione di gruppo". Il mio amico Sigmund, illustre strizzacervelli dell'Universitò di Vienna, potrà spiegarvi dall'alto sella sua scienza psicanalitica, quale tipo di sindrome sia questa...