Autore Topic: riflessioni sull'identità di poeta  (Letto 9427 volte)

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In Venere

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riflessioni sull'identità di poeta
« il: Venerdì 9 Marzo 2012, 16:54:54 »
fa parte di uno stralcio lungo, di una recensione su un libro di cui riporto il link. lo trovo molto interessante.

Si tratta di questioni che richiederebbero centinaia di pagine. E allora torniamo, anche qui sinteticamente, a domandarci qual è oggi la funzione della poesia. È la questione delle questioni, e dirò solo due parole rapide. Io credo che solo il porsi la questione della “funzione” di un poeta distrugga l’immagine del poeta stesso. La poesia non “serve”, non ha utilizzazioni pratiche, né finalità materiali. Questo non significa che la poesia abbandoni la realtà, tutt’altro; la famosa espressione “arte per l’arte” (la frase di T. Gauthier) non è un dogma, perché attraverso l’arte si può combattere, ci si può in ogni caso spendere per un’idea, ma l’arte in sé non serve a nulla. Questa è una prima convinzione che dovrebbe stare nelle nostre teste. Poi possiamo applaudire il poeta che recita in piazza, andando a casa colmi di quell’indefinibile soddisfazione che deriva dal profumo dell’arte. E per una volta mi viene voglia di citare il controverso Ezra Pound, allorché scrive: “L’arte non chiede mai a nessuno di fare nulla, di pensare nulla, di essere nulla. Esiste come esiste l’albero, si può ammirare, ci si può sedere alla sua ombra, si possono coglierne banane, si può tagliarne legna da ardere, si può fare assolutamente tutto quel che si vuole”.
Saul Bellow scrive nel suo libro: “I poeti sono amati, ma solo perché non sanno stare al mondo”, aggiungendo che è grazie a loro che il resto del mondo sopporta il cinismo a cui la vita lo costringe o a cui l’esistenza lo invita. Un poeta come Humboldt esiste perché deve portare su di sé lo “sporco” del mondo, la sozzura che le persone normali incontrano, producono o subiscono e che non sanno cancellare. Il poeta redime il mondo, soffrendo per le brutture degli altri. E cercando di lavarle via.
Allora il poeta non serve davvero a nulla, e lo dimostrano le pagine più pure delle poesie che amiamo. E poi: un poeta non sa operare un paziente, né guidare un aereo, progettare una casa o un ponte. Ma è un’entità che scrive e crea. E proprio qui c’è il riscatto del poeta, io direi, il nucleo centrale del libro di Bellow, almeno per come l’ho letto io. Bellow lo dice chiaramente. Egli afferma, infatti, che il poeta non deve avere un’identità. L’identità ci viene concessa dalla sfera sociale ed è un’etichetta che ci rende riconoscibili all’esterno, nei nostri rapporti sociali e umani. Siamo operai, impiegati, insegnanti, professionisti, ingegneri, attori, musicisti, disoccupati e così via. L’identità è un segno o un odore di riconoscimento. “Il tuo cane ti riconosce”, dice Bellow.
Invece, gli uomini di grande valore (e non sempre gli artisti lo sono) sono un’entità, non si devono quindi limitare ad avere un’identità. Il poeta non ha alcuna identità, intesa come etichetta sociale, come “maschera” da indossare sempre, perché egli sa guardare dall’alto quel “qualcosa”, magmatico e indefinito, che vive nel mondo. Egli dunque “È” un’entità, ovvero un uomo che non si perdona mai, che non è indulgente con se stesso, perché ha nella testa la sua grandezza e, come un ossesso, sa che deve raggiungerla, a volte scarificare a lei la propria esistenza.
Chi ha semplicemente un’identità, e s’accontenta di essa, è più indulgente con se stesso; probabilmente vive meglio, con maggiore calma, almeno in superficie: si siede sul suo divano, si versa da bere, guarda la TV, magari legge i poeti. Chi è un’entità, invece, è uno schiavo dell’arte. “Un’entità è una potenza impersonale che può fare spavento”, afferma Bellow. Ecco, il poeta dovrebbe imparare a spaventare gli altri, a mettere in crisi, a pungere le anime atrofizzate. Un destino davvero ingrato, ma irrinunciabile.
Giuseppe Barreca

http://www.filosofipercaso.it/?p=370

                                                                                                             

Offline Gianpiero De Tomi

Re: riflessioni sull'identità di poeta
« Risposta #1 il: Venerdì 9 Marzo 2012, 22:11:39 »
Molto interessante. Sono d'accordo con quasi tutto quello che è scritto. Aggiungerei che il poeta, nonostante a volte coincida con l'identità di letterati, scrittori,filosofi, di stacca dalla pura disciplina, per raccogliere ciò che non può essere identificato, se non attraverso la poetica di chi riesce a calarsi nelle porfondità umane.

In Venere

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Re: riflessioni sull'identità di poeta
« Risposta #2 il: Venerdì 9 Marzo 2012, 22:18:41 »
Chi ha semplicemente un’identità, e s’accontenta di essa, è più indulgente con se stesso; probabilmente vive meglio, con maggiore calma, almeno in superficie: si siede sul suo divano, si versa da bere, guarda la TV, magari legge i poeti. Chi è un’entità, invece, è uno schiavo dell’arte. “Un’entità è una potenza impersonale che può fare spavento”, afferma Bellow. Ecco, il poeta dovrebbe imparare a spaventare gli altri, a mettere in crisi, a pungere le anime atrofizzate. Un destino davvero ingrato, ma irrinunciabile.

dovresti leggere meglio: il poeta non è un letterato, un interprete, un moralizzatore, un versificatore.
il poeta semplicemente è, non ha alcun fine scatologico con le sue parole, non ammaestra, non serve, non insegna.
semplicemente NON HA UN IDENTITà.
e non è nemmeno un raccoglitore.

Offline paolo corinto tiberio

Re: riflessioni sull'identità di poeta
« Risposta #3 il: Sabato 10 Marzo 2012, 00:50:27 »
ma non è neppure uno spaventapasseri!... ho letto il post, ma non mi riesce, e non so io perché, di quotare...ammetto che questa problematica è seria e importante perché affronta i nodi della creazione artistica... ma sono problematiche che interessano ai facitori d'arte, ma un lettore o un fruitore non si porrà quasi mai la questione se si debba o sia preferibile acquistare  o no una entità, che però non è spiegato bene quel che è... Pessoa, dicono, era un coacervo di ii, un'entità appunto... Leopardi aveva una identità così dura e unica che ci si poteva giocare a pallone senza logorarlo troppo.... non so... non so cosa è entità... è un Ente aristotelico?... è una pluralità di cose, come l'inps, per esempio?... un organigramma?... ecco, mi vedo nello specchio, in quel momento sto osservando l'dentità assoluta del campo visivo che ho davanti... sto osservando me stesso
come si fa ad non avere identità?... per dismetterla dobbiamo pur sempre possederla, la si può buttare a mare poi, e ciò sarebbe in molti casi ottima cosa, ma per buttarla l'immondizia bisogna avercela... se l'identità è l'etichetta che ci appiccica la società, la comunità, i vicini,  i compaesani eccetera questa etichetta può fallare così come tutte le cose del mondo, ma la comunità di cui sopra ha legittimazione prima che sociale logica riguardo a questa assunzione che nasce nel dare bettesimo alle cose e ancor più all'ottima autrice del post, In Venere veritas...  :)
« Ultima modifica: Sabato 10 Marzo 2012, 00:52:22 da paolo corinto tiberio »
salvatico è quel che si salva

In Venere

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Re: riflessioni sull'identità di poeta
« Risposta #4 il: Sabato 10 Marzo 2012, 09:41:18 »
l'enità è per sua natura indefinibile, già il fatto che molti come "poeti" si sentano in dovere di trattare solo certi argomenti (amore, mare, erotismo da romanzetto rosa e via dicendo) e solo in talune forme (sonetto, cazzimbocchio e via dicendo) senza uscire mai dallo schema prefisso del "poeta", la dice lunga su cosa si creda sia questa identità.
non ha un'identità, fine.
non c'è un motivo, un perchè.
e se ce lo chiediamo sbagliamo di partenza. è un po' come definire l'amore: possiamo dirne alcuni codici, alcune sensazioni che ci accomunano, ma poi? resta per tutti indefinibile, personalissimo, nuovo.
grazie per l'ottima  :P

Offline Pino Penny

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Re: riflessioni sull'identità di poeta
« Risposta #5 il: Giovedì 22 Marzo 2012, 23:02:24 »
per favore non gettatemi le pietre per quanto dirò ora..

mi sembra che Poeta si il titolo onorifico incummensurabile da dare a qualcuno quando muore .

Pasolini era Poeta,Dalla era Poeta,Battisti(che mai scrisse un testo)era Poeta..così come la Merini e tutti gli altri morti ormai defunti..erano tutti Poeti .

si fa differenza tra scrittore e poeta(scrive da poeta)parla da poeta,suona da poeta..fa un cinema Poetico,guarda il mondo da poeta(chissà che occhi ha..)

non lo so sarò un ignorante patentato..ma a volte leggo delle poesie di autori,poeti cioè famosi e mi annoio mortalmente..forse non apprezzo la Poesia,non avrò gli strumenti adatti per capire..
Poi rifletto(pur non sapendolo fare)e dico:ma questa poesia di che parla,anzi come ne parla di quel soggetto .Parla con ovvietà o ripete cose risapute con "accenti"che mi paiono nuovi,diversi,come se vedessi il mondo per la prima volta,la notte per la prima volta,un prato,una rosa, un volto triste di donna che accenna un principio di sorriso riflesso nel profondo pozzo dei suoi occhi
guardi la vita a...colori?Io a volte si, a volte in nero a seconda dei giorni.se sono grigi anche grigio è un colore.Ma anche in blu non mi dispiace.in rosso per tirarmi su.in giallo se mi sento più pazzo del solito,in bianco se ci vado...

Offline Amara

Re: riflessioni sull'identità di poeta
« Risposta #6 il: Venerdì 23 Marzo 2012, 19:57:04 »
..difficile.. difficile avere un'idea.. un'opinione..
difficile scegliere chi è poeta chi così è definito senza appartenere davvero al termine...
difficile dire chi sia artista...
certo.. se parliamo di un numero appena sufficiente alle dita di due mani.. è più facile..ma nel mare immenso del tempo e delle parole.. come si fa?..impossibile abbracciarlo in una sola definizione..

con l'inutilità concordo appieno.. anche se il piacere e un'utilità grande...

interessante comunque questo brano.. stuzzica pensieri...

Il dubbio è uno dei nomi dell'intelligenza
(J. L. Borges)

In Venere

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Re: riflessioni sull'identità di poeta
« Risposta #7 il: Venerdì 23 Marzo 2012, 20:23:06 »
eppure, quest'idea dell'entità senza identità, la trovo, giusta

Offline Gianpiero De Tomi

Re: riflessioni sull'identità di poeta
« Risposta #8 il: Venerdì 23 Marzo 2012, 22:15:42 »
Chi ha semplicemente un’identità, e s’accontenta di essa, è più indulgente con se stesso; probabilmente vive meglio, con maggiore calma, almeno in superficie: si siede sul suo divano, si versa da bere, guarda la TV, magari legge i poeti. Chi è un’entità, invece, è uno schiavo dell’arte. “Un’entità è una potenza impersonale che può fare spavento”, afferma Bellow. Ecco, il poeta dovrebbe imparare a spaventare gli altri, a mettere in crisi, a pungere le anime atrofizzate. Un destino davvero ingrato, ma irrinunciabile.

dovresti leggere meglio: il poeta non è un letterato, un interprete, un moralizzatore, un versificatore.
il poeta semplicemente è, non ha alcun fine scatologico con le sue parole, non ammaestra, non serve, non insegna.
semplicemente NON HA UN IDENTITà.
e non è nemmeno un raccoglitore.

Teoricamente, può essere così, ma praticamente, non è possibile scindere l'uomo dall'entità poetica, c'è sempre una partecipazione nel vissuto e nella capacità di esternare i pensieri in modo penetrante.









Offline Michele Tropiano

Re: riflessioni sull'identità di poeta
« Risposta #9 il: Sabato 24 Marzo 2012, 11:52:43 »
la famosa espressione “arte per l’arte” (la frase di T. Gauthier) non è un dogma, perché attraverso l’arte si può combattere, ci si può in ogni caso spendere per un’idea, ma l’arte in sé non serve a nulla. Questa è una prima convinzione che dovrebbe stare nelle nostre teste.            

No, io non sono d'accordo, almeno con la prima parte, perchè l'autore di questa recensione forse non tiene conto alcuni aspetti della questione... La poesia è naturalmente arte e, come tutte le arti, fa parte della cultura, si inserisce in un solco che, a mio avviso, è uno dei principali veicoli di civiltà. La cultura è civiltà, si identifica con essa e non è un caso che la società occidentale sia nata in grecia, dove l'arte - e la poesia specialmente! - ha avuto la sua culla più fiorente. Certo, anche in oriente c'è stata una cultura antecedente, ma ha avuto comunque la sua arte, questo in ogni caso è un altro discorso.
Quello che voglio dire è che magari una poesia in sè per sè, con il suo messaggio aleatorio e legato al suo tempo, potrà non servire a niente, trascinando il suo poeta al di fuori di un'identità specifica, ma la poesia, la poesia come grande arte dell'umanità, la poesia in generale è un passo verso la civiltà, la fioritura di una società, la cultura più vasta e ampia. E non mi venite a dire che oramai, in un mondo dove campeggiano tecnologia e scienze matematiche la cultura non serve più, perchè è una fesseria troppo grande che troppo spesso sento in giro.
« Ultima modifica: Sabato 24 Marzo 2012, 11:55:41 da Michele Tropiano »
Exegi monumentum aere perennius
regalique situ pyramidum altius,
quod non imber edax, non Aquilo inpotens
possit diruere aut innumerabilis
annorum series et fuga temporum.
(Horatio, Carmina III, XXX)

In Venere

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Re: riflessioni sull'identità di poeta
« Risposta #10 il: Sabato 24 Marzo 2012, 13:48:15 »
E proprio per questo il poeta secondo me, diventa pura entità che produce, che esterna il senso dell'epoca in cui vive. Altrimenti è un diario minimo di sé, solo questo è non quella umanistica cultura di cui l'uomo necessita nella sua formazione... È il poeta, l'artista a scomparire... Non l'arte. Anzi... La penso come te su questo, tropiano.

Offline Gianpiero De Tomi

Re: riflessioni sull'identità di poeta
« Risposta #11 il: Sabato 24 Marzo 2012, 15:48:33 »
No, io non sono d'accordo, almeno con la prima parte, perchè l'autore di questa recensione forse non tiene conto alcuni aspetti della questione... La poesia è naturalmente arte e, come tutte le arti, fa parte della cultura, si inserisce in un solco che, a mio avviso, è uno dei principali veicoli di civiltà. La cultura è civiltà, si identifica con essa e non è un caso che la società occidentale sia nata in grecia, dove l'arte - e la poesia specialmente! - ha avuto la sua culla più fiorente. Certo, anche in oriente c'è stata una cultura antecedente, ma ha avuto comunque la sua arte, questo in ogni caso è un altro discorso.
Quello che voglio dire è che magari una poesia in sè per sè, con il suo messaggio aleatorio e legato al suo tempo, potrà non servire a niente, trascinando il suo poeta al di fuori di un'identità specifica, ma la poesia, la poesia come grande arte dell'umanità, la poesia in generale è un passo verso la civiltà, la fioritura di una società, la cultura più vasta e ampia. E non mi venite a dire che oramai, in un mondo dove campeggiano tecnologia e scienze matematiche la cultura non serve più, perchè è una fesseria troppo grande che troppo spesso sento in giro.


Sono completamente d'accordo con ogni parola.

Offline Ilguardianodelfaro

Re: riflessioni sull'identità di poeta
« Risposta #12 il: Domenica 25 Marzo 2012, 06:57:45 »
La poesia, quest'arte che non rispecchia sempre l'interiorità di una persona, è la testimone, congiuntamente al progresso della letteratura, dell'evoluzione culturale che la civiltà oserei dire mondiale possiede, perseguendo il mutarsi stesso delle lingue madri e l'interpretazioni che ne derivano. Nel medioevo in Italia scrivevano poesie in lingua volgare, oggi in lingua moderna, domani? In Gran Bretagna la lingua madre di origine mista latino-germanica ha la propria storica evoluzione, infatti l'antico scozzese non ha nulla a che fare con l'inglese moderno, l'anglosassone infatti è il nome dell'antico inglese. Con gli anni la lingua inglese ebbe l'influenza dell'idioma celtico e l'influenza dei vichinghi per poi essere conquistata dai normanni. Oltre alla trasformazione della lingua, i popoli hanno subito anche cambiamenti di pensiero, diversa mentalità per tempi diversi. In questo contesto c'è anche la trasformazione della poesia, meno pomposa. Infatti, stili ed uso di metafore tendono a modernizzare la poesia, la poesia contemporanea tende a perdere la forma tradizionale collocandosi più in un sistema letterario.
ilguardianodelfaro
Quello che hai visto ricordalo perché quello che non hai visto ritorna a volare nel vento. (Navajo)

Offline Pino Penny

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Re: riflessioni sull'identità di poeta
« Risposta #13 il: Mercoledì 6 Giugno 2012, 22:57:01 »
ma io chi sono? quale è la mia identità?aspetta che guardo sul documento di riconoscimento..a proposito:lo sapete che alla voce:professione,puoi farci mettere quel che vuoi?perfino quindi pure:Poeta?
io ci ho fatto mettere:
invalido spondilitico con velleità pseudo-poetiche
in segni particolari ci ho messo..gobbo come leopardi..quindi pseudo poeta con gobba vera..da non strofinare perchè porta molta sfiga. 8)
guardi la vita a...colori?Io a volte si, a volte in nero a seconda dei giorni.se sono grigi anche grigio è un colore.Ma anche in blu non mi dispiace.in rosso per tirarmi su.in giallo se mi sento più pazzo del solito,in bianco se ci vado...

Offline India

Re: riflessioni sull'identità di poeta
« Risposta #14 il: Giovedì 7 Giugno 2012, 08:44:53 »
Apprezzo molto la tua autoironia Boccaccino, che di questi tempi non è da tutti.
Beh! non ci crederete, ma tra tutte le partite IVA ce n'è una che dovrebbe raccogliere i poeti oltre agli scrittori, quindi deduco che essere poeta sia un mestiere, come essere un idraulico  o un architetto. Qual'è questa partita IVA? creazioni letterarie.
Beh, io che non manco di superbia e neanche di ironia, sui miei bigliettini da visita ho fatto scrivere " creazioni letterarie". Millantato credito? non credo, chi può affermare che le mie poesie non sono creazioni letterarie?
D'altra parte il mio vero millantato credito, per me. è affermare di essere insegnante, visto che non mi hanno permesso di bocciare un'alunna
che su 12 compiti in classe non me ne ha svolto uno, e non è mai venuta ad un'interrogazione. Per la verità l'ho vista un paio di volte in tutto l'anno ( si fa per dire che l'ho vista, perché essendo di religione islamica porta il velo).
E sapete perché non l'ho mai vista? perché ha paura del buio. Vi sembra normale che una persona adulta che ha paura del buio si iscriva in una scuola serale? e per giunta venga promossa?
Trovo più serio dichiarami poeta.
Sul fatto che l'arte non svolga alcuna funzione, cioè sia inutile, non sono d'accordo. I clown, che negli ospedali pediatrici, cercano di far ridere i bambini, credo che siano più utili dei medici stessi.
La poesia inutile? forse la mia. forse quella di altri dilettanti come me ( cosa volete che freghi all'umanità di un mio amore o di una poesia nella quale si descrivono le sensazioni provate in un rapporto sessuale?)  ma la poesia di Dante, non è solo poesia, è insegnamento, è coraggio, è denuncia.