Sono parzialmente d'accordo con il poeta siciliano.
Bisogna sempre vedere l'altra faccia della medaglia.
E' vero che, privato del suo dialetto, ogni popolo si sente un po' meno libero, ma è altrettanto vero che possedere una lingua nazionale apre le porte ad una forma più compiuta di libertà.
L'umanità è sempre stata tentata da due fantasmi opposti, quello centripeto di possedere una lingua del tutto personale (come fanno molti adolescenti, che inventano dei linguaggi cifrati, che solo loro possono intendere) , e quello centrifugo di imporre al mondo intero un unico modo di parlare e di scrivere (il sogno dell'esperanto è solo uno degli ultimi esempi) .
Ci muoviamo tra questi due estremi, che attualmente sono rappresentati, da noi, da alcune (a volte ridicole) iniziative leghiste e dalla martellante pubblicità all'inglese.
E' giusto che tutto possa convivere: i dialetti per le occasioni private (quando intorno c'è gente in grado di capirli) , l'inglese per quelle internazionali (quando bisogna girare un po' il mondo, certo mondo) e, in mezzo, le bellissime lingue nazionali. Esse, per la loro storia, per il modo in cui si sono (a volte faticosamente) formate, per la certezza delle loro regole, sono le sole in grado di darci quella pienezza espressiva e precisione semantica di cui abbiamo bisogno.