Vorrei proporre io, ora, due autori secondo me geniali; seguendo lo schema già dato da Massimiliano, porto come esempio Giorgia Spurio (
http://giorgiaspurio.scrivere.info/) ed Aldo Bilato (
http://aldobilato.scrivere.info/), che si collocano agli estremi opposti: l’una “istintiva” (ma non troppo), l’altro estremamente ricercato.
I componimenti di Giorgia sono un fiume in piena, parole che si stagliano nei versi come onde impetuose, come un uragano, tale da pensare che escano a caso dalla penna dell’autrice: in parte è anche vero – e qui risiede parte della genialità – ma dietro l’apparente casualità si cela invece un meccanismo, anche inconscio, che fa da filo conduttore a tutta la poesia. Si potrebbe parlare di “voli pindarici”, io direi più che Giorgia possiede un’enorme fantasia e quindi una “genialità” innata dello “scrosciare” parole sul foglio: il lessico è sempre audace e mai banale, le metafore sono sempre originalissime, lo stile è più unico che raro. Le sue poesie oscillano fra un originale ermetismo ed una sorta di enigmatica e quasi sacra parola che sembra sconfinare a volte in una strana religione personale. In una parola la sua poesia è indefinibile, come indefinibile – o arduo da classificare – è spesso il “genio”.
Ora, procederò ad una breve (e sicuramente non esaustiva, non ne sono capace!) analisi della seguente poesia, che è quella di Giorgia che mi ha colpito di più, dal titolo “Il colore del purgatorio”.
A volte la paura
di non essere più,
forse non un dio
né un umano,
ma solo un delirio
strapazzato tra le dita
che ha un bimbo.
Non è morfina quella
che iniettano alle narici delle puttane
svestite, abbandonate, senza lingua
e senza perdono.
Quale colore ha il purgatorio?
Me lo chiese con un occhio solo
il fato che si spappola il cervello.
Quale accidia potrà aver commesso la vita?
I gironi ci portano a cucirci le ciglia
e a pregare le cecità
di ogni mano nascosta nei pantaloni.
Non urlano più...
I sogni come vergini
dal cui martirio
nessuno porterà a loro la santità,
ma solo corde di vocali
percosse e divorate,
prostituite e violentate.
E mi va in tilt questo fottutissimo pc
a raccogliere inchiostri
psichedelici e mai stampati
di giornali di ogni data,
ogni tempo, ogni mondo,
dai continenti delle cronologie dimenticate,
forse troppo sensibile questa pagina di pixel
da non amare i polpastrelli
a solleticare la sua gonna di jeans,
da non amare le promesse di un paradiso
da chi dice che lo sta vivendo adesso.
È uno sputo nell'occhio
per chi è stata costretta,
per chi le hanno detto che è una marionetta,
per chi le hanno già tagliato ogni corda
ogni inutile illusione
che le tenevano le gambe ritte.
Qual è il colore del purgatorio?
Lei mi rispose: il colore
delle sue scarpe sporche.
Si inizia con una strofa che rimane appesa grammaticalmente, ma non ha importanza, dopo aver tirato in ballo l’umano e il divino, perfino un bambino, si passa alla seconda strofa bruscamente parlando di morfine e puttane… “qual è il colore del purgatorio?” una domanda senza senso, ma perfettamente coerente nella sua incoerenza già con le prime due strofe. Il fato si spappola il cervello, o meglio lo spappola a noi umani, che non sappiamo nulla, né del paradiso, né dell’inferno, del purgatorio. La vita è colpevole di accidia, un’apatia che è solo un delirio, forse. Poi si parla addirittura di vergini, paragonandole ai sogni, seguendo sempre binari che portano in contraddizioni, come contraddittoria è la vita. Più giù nei versi la poesia presenta tratti di “meta-poesia”, la finzione viene svelata e l’autrice sta battendo i tasti sul “fottutissimo pc” che va in tilt come il lettore, in preda ad un turbine di immagini: per esempio “continenti delle cronologie dimenticate”, un’espressione che fonde nuovo ed antico in modo estremamente originale. Gli ultimi tre versi poi, sono spiazzanti, profondamente enigmatici ma per questo colpiscono: questo è il cosiddetto effetto dello “straniamento” che porta il lettore a rimanere disorientato, come se già non fossero bastate tutte quelle frasi catapultate sul foglio. La genialità di Giorgia sta anche in questo, nel sorprendere il lettore e nel lasciarlo che lui stesso interpreti la poesia come meglio crede. Le poesia di Giorgia sono come uno spartito, che ognuno suona con lo strumento che vuole e seguendo sì le note, ma inserendo il proprio ritmo.
(continua)