Il termine “poetico” ha assunto, nella nostra cultura, una valenza talmente generica e vaga da essere utilizzato quasi sempre a sproposito. Il dibattito su ciò che è “poetico” è ormai argomento da Bar Sport, utile forse per alleviare la seccatura di una mano persa a Tressette o una bocciata maldestra. Non è dissimile la sorte toccata alla “poesia”; pur non essendo l’intento principale di questo mio scritto, nel quale mi propongo di parlare del concetto di “genio” applicato alla poesia, alcune considerazioni critiche sulla poesia sono necessarie e vitali per le argomentazioni che andrò ad esporre. Per non tediare troppo il lettore, limiterò, laddove possibile, qualsivoglia forma di tecnicismo accademico e di analisi formale, e non parlerò, se non raramente, di poeti classici, moderni o contemporanei, bensì di alcuni poeti presenti sul sito, prendendo a esempio e analizzando alcune loro composizioni. Mi scuso fin d’ora con gli esclusi e ancor di più con gli inclusi, alcuni dei quali proveranno profondo risentimento nei miei confronti, tanto più immotivato quanto più il loro ego si gonfierà d’astio.
Poiché mi considero sommamente rispettoso sotto il profilo umano, ma so di apparire talvolta irriguardoso sotto il profilo letterario, invito gli autori che dovessero sentirsi sbranati o massacrati dalle mie considerazioni, a prendere queste come critica al loro lavoro soltanto, e, nel contempo, rivolgo agli autori che prenderò a modello di “genio poetico” la preghiera di non coccolarsi troppo nel brodo di giuggiole con cui l’enfasi, a volte ridondante, lo ammetto, del mio apprezzamento riempirà la vasca dorata del loro ego.
Infine, esclusivamente per comodità di esposizione, classificherò, non senza una punta di bonaria ironia, alcuni autori sotto l’etichetta di “genio poetico” e altri sotto quella di “genio impoetico”.