Bene. Non credo occorra inventarsi nulla: Wikipedia docet
Col termine licenza poetica si intende un errore voluto da parte del poeta, funzionale a rendere il suo componimento più incisivo. L'errore può essere fattuale, grammaticale oppure metrico.
Usata in senso traslato, la locuzione "licenza poetica" viene usata quando una persona compie un'azione formalmente non corretta, ma accettabile date le circostanze.
Licenza poetica fattuale
Un esempio noto per il primo tipo di licenza poetica è quello di Giosuè Carducci, il quale, nella sua Canzone di Legnano, termina così il componimento:
« Il sol ridea calando dietro il Resegone »
L'immagine serve a conferire solennità alla chiusa del componimento: la licenza sta nel fatto che, dal punto dove lo si descrive, il monte Resegone è situato verso Nord, di fianco alle Grigne. Rispetto a Milano il sole tramonta dietro al Monte Rosa.
Licenza poetica grammaticale
Un esempio di licenza poetica grammaticale si può trovare ne Il sabato del villaggio di Giacomo Leopardi:
« e intanto riede alla sua parca mensa,
fischiando, il zappatore »
In italiano, infatti, si dice "lo zappatore", che però non avrebbe più reso il verso un settenario; ecco dunque la scelta della licenza poetica.
-questa era una nota di un altro autore, ho lasciato il tutto per correttezza -
Al tempo di Leopardi era diffusa la doppia possibilità per la scelta dell'articolo davanti alla /z/. Infatti in fiorentino, già allora considerato italiano standard, si diceva 'il zappatore'. Leopardi sceglie questa opzione per rendere il verso settenario, ma non è affatto licenza poetica. Perché un autore non può dire che fa errori voluti. Al massimo può ricorrere a figure retoriche, come fa Manzoni quando usa l'anacoluto, scrivendo: "Quelli che muoiono bisogna pregare Iddio per loro". Ma anche questa non è licenza poetica. Anzi la licenza poetica atta a sgrammaticare non esiste affatto.
Licenza poetica metrica
Un tipo di licenza metrica speciale possono essere considerate le rime culturali (cioè versi che non sono propriamente in rima, ma che lo sarebbero nel sistema vocalico di un'altra lingua): la rima siciliana, la rima francese, la rima aretina (o guittoniana) e la rima bolognese. Questo tipo di rime era molto comune nella poesia italiana delle origini.
Si veda questo esempio di rima siciliana:
« Di sùbito drizzato gridò: «Come?
dicesti "elli ebbe"? non viv' elli ancora?
non fiere li occhi suoi lo dolce lume?» »
(Dante Alighieri, Inferno, canto X, vv. 67-69)
In questo caso abbiamo una rima di "o" chiusa con "u", tipica della poesia siciliana: la lingua siciliana non dispone infatti della "o" chiusa e tende a usare sempre la "u", derivata dall'articolo determinativo "lu".
In questo caso (unico nella Divina Commedia) di rima guittoniana notiamo una sorta di ibridazione della rima toscana (il dialetto toscano ammette la rima di "e" aperta ed "e" chiusa oppure "o" aperta con "o" chiusa) con quella siciliana:
« Se voi venite dal giacer sicuri,
e volete trovar la via più tosto,
le vostre destre sien sempre di fori »
(Dante Alighieri, Purgatorio, canto XIX, vv. 79-81)