La poesia: che cosa sublime! suprema arte dell’uomo, probabilmente molto più della pittura, della scultura e di tutte la altre arti; tant’è che Giambattista Vico, nella sua fantasiosa ricostruzione delle tre età della terra (gli Dei, gli Eroi, gli Uomini), affermava che la poesia sarebbe nata prima della prosa perché essa sarebbe derivata dal linguaggio degli Dei e degli Eroi.
Per non divagare troppo, il concetto che vorrei esprimere è questo. La poesia, in ogni suo verso, in ogni sua parola, in ogni sua virgola, deve avere una motivazione ben precisa: riguardo a ciò, vorrei tentare di spiegare che alcune “tendenze comuni” della poesia odierna (che noto nello scrivere su questo e vari siti) sono di per sé senza un perché e, di conseguenza, vanno, secondo me, contro il concetto stesso della poesia, ovvero l’arte sublime.
Non utilizzare la punteggiatura. Moltissimi autori nelle loro poesia omettono punti, virgole, punti e virgole ecc ecc per semplice moda, che non risponde a nessuno stile in particolare e nessuna motivazione interna alla poesia. Una motivazione interna, può essere, per esempio, che la poesia termina con la parola “infinito” e allora si omette il punto per, così dire, prolungare quell’infinito. Non ha nessun significato, invece, terminare un verso senza un punto, ma inserire la lettera maiuscola al verso successivo. Mi riferisco in particolare a questo e alla mancanza di punto finale, non al fatto di mettere poca punteggiatura o quasi nessuna virgola (cosa che faccio anche io spesso ma per un motivo stilistico che non sto qui a spiegare). Anche diversi poeti contemporanei non hanno inserito punteggiatura, ma il motivo risiede, a volte, nel contesto storico, ovvero quello di andare contro le regole millenarie e nello specifico di andare contro la moda: ora, se non usare punteggiatura è diventata una moda, viene travisato il senso stesso del non usare punteggiatura!! Tra l’altro, in una poesia lunga, omettere tutta la punteggiatura, può causare un travisamento di significato…
Versi brevissimi o lunghissimi. Anche se nella poesia contemporanea molte cose sono state stravolte, è indubbio che la poesia, per sua stessa natura, debba avere una propria musicalità: e se non ce l’ha, come in alcuni componimenti di poeti contemporanei, ci devono essere motivi specifici. Utilizzare versi brevissimi, molto spesso di una sola parola, può avere un significato solo se il verso serve ad evidenziare una parola importante o magari riesce a creare un effetto simbolico, o una figura retorica da esaltare in un sol verso, altrimenti è un inutile vezzo che va a scapito della musicalità. Versi brevi avrebbero un significato poetico se magari fossero in metrica, magari tutti bisillabi e trisillabi. Stesso discorso, più o meno, per i versi lunghissimi, che spesso non mettono in evidenza, poeticamente, un bel niente.
Il turpiloquio. Il turpiloquio, ovvero “l’uso della parolaccia” non è affatto recente, anzi, affonda le proprie radici già nell’antica Roma (pensiamo ad alcuni carmi di Catullo), il punto è che però nella tradizione poetica l’uso di espressioni scurrili è sempre stato funzionale ad un genere, ed a motivazioni contestuali, come per esempio il descrivere un ambiente di basso livello, parlare di una persona cattiva, o il fatto di ribellarsi a qualcuno o a qualcosa. Viceversa, l’inserimento di parolacce per il semplice gusto di andare controcorrente è, come già detto, la negazione stessa dell’andare controcorrente, perché diventa poi una moda.