Accarezzavo inutilmente sogni
senza spillarne alcun colore al petto
li abbandonavo incolti,
quando ancora di te non c'era segno
mi proponevi occhi, mani e carne densa
sotto la bruma e gli occhi rinsecchiti di mia madre
intorno, miele e refoli d’Arabia
ora
mi restano gli spacchi sulle labbra
che non dovrei leccare,
soffrono il vento e chiedono altre cure
ma non saranno baci,
- seccano in bocca prima d’esser nati -
solo parole, sussurri nella notte
come pietre, macigni a stritolare l’ossa
e legno e ferro che m’inchioda
mi uccide ad ogni verbo, mi commuove,
satura l’aria che sibila il tuo nome
e, infine, cede al giorno
dietro le sbarre di questa prigione.
Visto che in questo caso il partner è palese, mi preme fare un breve escursus.
Da molto tempo lo stile asciutto di alcuni testi della produzione di Amara mi hanno affascinato. Ci sono alcune sue produzioni che ritengo di notevole fattura. Il fatto che avessimo stili differenti, ma non eccessivamente, mi ha spinto a chiederle di provare a scrivere qualcosa insieme. Ci ha intrigato subito il capire cosa potesse sortire dalla miscellanea delle nostre scritture. Devo ammettere che non è stato facile, ma non per colpa sua, quanto per la mia ispirazione che è sempre più latitante in questi ultimi tempi.
Tuttavia, dopo qualche giorno, e tanti ripensamenti sui contenuti, il risultato è quello che vi abbiamo proposto.
Vi dico da subito che alcune metafore (una in particolare) non sono immediatamente interpretabili, ma ci piaceva che rimanessero così, affidate alla capacità di ognuno di farle proprie.