Allora eccomi qua, ho trovato il tempo necessario per cercare di tirare le fila di questo bel topic e rispondere con la dovuta cura ad ognuno di voi.
Intanto delle considerazioni di carattere generale mi spingono ad affermare che non è poi così vero che siamo “NESSUNO” in tema di critica letteraria come qualcuno afferma; questo topic ne è la lampante dimostrazione. Tutti, e dico TUTTI, hanno espresso il loro punto di vista, qualcuno lo ha fatto con competenza ed esperienza di cui è dotato, qualcun altro ha rotto gli indugi per la prima volta ed ha espresso il proprio parere, a mio avviso, con la schiettezza necessaria ad ogni commento/critica.
Avete dimostrato che non è necessario (ed io direi sufficiente) avere una conoscenza accademica, e che le esperienze di lettura, la capacità di discernere, la riflessione sono dei mezzi validi per esprimere un giudizio su qualunque pezzo letterario.
Ora mi piacerebbe che anche quelli che non hanno espresso giudizi su questo testo possano farlo su altri testi che verranno proposti, questo è il luogo dove ci si incontra e, personalmente amo le gratificazioni, ma auspico sempre che qualcuno faccia notare anche gli aspetti meno precisi del mio scrivere.
Ma veniamo al testo proposto…
Non vogliatemene, il testo è mio. Non è certamente stata la volontà di prendere in giro chicchessia a spingermi a non rivelarlo subito, ma speravo che così ci si sarebbe sentiti più liberi di commentare. E’ inevitabile che conoscere l’autore di un qualunque testo finisca per condizionare il parere di chi poi tenta di fare una critica.
Ringrazio fin da subito per i complimenti (fanno sempre piacere e sollevano l’animo), ma voglio anche entrare nel merito delle critiche.
Salvo D’angelo… grazie troppo buono, ma come potrai vedere nel seguito, anche i testi apparentemente “perfetti” rivelano immancabilmente imperfezioni stilistiche.
Monileo… mi hai sgamato, ma sei un grande adulatore….
Gabriella Caruso lo hai colto in pieno, era proprio il senso emotivo che ho voluto infondere a questo testo,
Stefano Toschi… che dire? Hai fatto una analisi perfetta e poco importa che lo scenario fosse di guerra o di una catastrofe piuttosto che uno dei tanti morti che flagellano la nostra “quotidianità” il punto è che ormai questi scenari sono entrati così in profondità nel nostro vissuto che non riescono più a fare breccia ed ecco quindi la mediaticità che si “attrezza” per colpi di scena sempre più ad effetto dove la crudezza e l’insensibilità la fanno da padrone, dove il pianto di una madre distrutta dal dolore diventa il mezzo per fare innalzare gli indici d’ascolto, coscienti che dietro a tutto c’è una umanità che, condizionata ed “educata” dalla “civiltà” della violenza, si ritrova sempre più refrattaria a termini come “amore”, “pace”, “solidarietà”.
Dal punto di vista “tecnico”, sono d’accordo con te; il verso “nel lieve mormorio di telecamere distratte” è effettivamente troppo lungo e rende sbilanciata la lettura; avrei potuto eliminare l’aggettivo e usare un altro sostantivo al posto di telecamere (questo a dimostrazione del fatto che a volte si predica bene e si razzola male
).
Per ciò che concerne il verso “tra mani insanguinate e”, come avrai potuto notare non uso segni di interpunzione se non strettamente indispensabili e nella mia intenzione dopo la “e” avrebbero dovuto esserci i puntini di sospensione (cosa che mi inorridisce in poesia) ed ho pensato dunque di sostituirli con un a capo, dunque non un enjambement nel senso stretto, ma un modo per dare una intonazione alla strofa intera (probabilmente andava studiato meglio).