Ho estremamente apprezzato le dottissime disquisizioni di Pozzato e Ricotta sulla poesia latina, che mi hanno fatto apprendere alcune cose che ignoravo. Vorrei soltanto esprimere il mio parere sulle traduzioni poetiche, caldeggiate, se ho ben compreso, da Ricotta, ed osteggiate da Pozzato. Io tenderei a dare più ragione a quest'ultimo...
Certo, Antonio, mi rendo conto di quanto sia problematica una traduzione, in particolare di un testo poetico. C’è un interessante esempio riportato nell’introduzione di una raccolta di poesie di Tagore da parte di Alessandro Bausani (Tagore, Poesie, traduzione di Girolamo Mancuso, Newton Compton Editori, 1979). Ne riporto più sotto un frammento. Nella Nota alla Traduzione da parte di Girolamo Mancuso si dice infatti traduttore traditore e che Ezra Pound consigliava di <tradurre la poesia, non le parole> (facile a dirsi ma non a farsi!). C’è tutta una letteratura in merito; Mancuso consiglia ad esempio Roman Jakobson “Aspetti linguistici della traduzione” in Saggi di linguistica generale p.64. ma senz’altro esistono testi più recenti. Tagore scriveva in bengali ma conoscendo abbastanza bene l’inglese tradusse egli stesso molte sue opere modificandole per adattarle, secondo lui, alla sensibilità occidentale. La singolarità di questo esempio è che Tagore tradusse le sue poesie in inglese mettendole in prosa e il traduttore in italiano ha tradotto dall’inglese mettendole in versi! Afferma il traduttore <Una prosa che, anche nella traduzione letterale, si organizza in versi naturalmente e quasi da sola. Io non ho fatto altro che recepire questa tensione…>.
La poesia illustrata dal Bausani è tratta dal Gitanjali (XVIII), ne riporto i primi quattro versi dei venti dell’originale ponendo il bengali sopra e la traduzione letterale italiana sotto.
mégher pore mégh jomeche
di-nube sopra nubi si-sono-ammassate
àndhar kòre àshe
tenebra fatta viene
àmay keno bòshe rakho
me perché seduto tieni
éka ddàrer pàshe?
solo della-porta presso?
Il bengali possiede un accento ritmico sulla prima sillaba, non so però perché non sia indicato su tutte le parole.
In bengali kh si pronuncia come c di casa e jh come g in genio seguita da aspirazione. Notare che i suffissi –er o –r sono dei genitivi (megh=nuvola; megher=della nuvola) e che –e può essere una specie di locativo. Inoltre esistono verbi composti (tenebra fatta viene=si vien facendo scuro), ecc.
In linguaggio un po’ più corrente suona (secondo me perché nel testo è un po’ diverso)
Nubi su nubi si accumulano
si vien facendo scuro
Perché mi tieni seduto
presso la porta soltanto?
La ritraduzione dall’inglese è:
Nubi su nubi si addensano
e si fa buio
Amore mio, perché mi lasci tutto solo
ad attendere fuori della porta?
Che ne dici, si perde poi tanto secondo te nelle varie forme?
Infine come scrive Bausani <Non va dimenticato che le poesie tagoriane, come del resto molte o tutte le poesie non solo indiane ma asiatiche in genere, sono fatte per essere cantate, non dette, o, peggio ancora, intellettualisticamente pensate. E si tratta di un canto che il mondo attuale, molto più nervoso e agitato del tradizionale, chiama in genere “monotono” e sente come tale, perché è pacificante, tranquillizzante, non agitato>. Tagore stesso ha musicato le sue poesie. Comunque la situazione attuale in Oriente è abbastanza diversa e i nuovi artisti si sono molto occidentalizzati pur rispettando sommamente la loro tradizione.