il livido che gli aveva procurato.Più forte della vergogna che provava per quel suo gesto era la sensazione d’essere vittima di quel poppante.Era lui che le procurava le critiche della gente,che la rendeva ridicola.Era colpa sua se non era amata.Si concesse di singhiozzare ancora un po’ sulla sua triste condizione.Poi depose Carlo nel lettino e andò a preparare il pranzo.
II
Qualcuno mise la chiave nella toppa,Carletto che era intento a far gareggiare due piccole Ferrari un pò ammaccate e scolorite alzò la testa incerto se sperare che fosse la madre o augurarsi che fosse qualcun altro. L’emozione gli attanagliò il petto,così rimase fermo,quasi a fiutare l’aria,come il cervo che intuisca il pericolo rimirando lo splendore dell’erba inchinata alla forza carezzevole del vento.La porta si aprì e prima d’ogni altra immagine egli scorse l’icona di un visetto pallido dove spiccavano due enormi occhi di un grigio acquoso,due pozze affascinanti che sembravano attirarlo,e così fu,per sempre.Una sorellina,fragile,soffice,inerme. Sua. Tremante s’appressò al fagottino e sporse le braccine per toccarla.Fu spinto via,una spinta secca,dura. Mara lo guardò quasi sorpresa che fosse lì,come si fosse aspettata che al suo ritorno dall’ospedale Carlo fosse scomparso.’Levati!’ gli ringhiò,e il piccolo ritrasse ben più che le manine dove le unghie erano mangiate fino alla carne,fino a sanguinare.Ritrasse la sua anima.La rinchiuse per amore di lei in quel mondo privo di luce ove la teneva per non darle noia.Lo sguardo tornò ad essere distante,chinò la testa e dalla bocca gli uscì un brontolio sordo con il quale le piccole Ferrari ripresero la strada disegnata dalle mattonelle. Mara salì le scale e poggiò Coline fra le coperte;si spogliò lentamente,timorosa di guardarsi allo specchio.Non voleva constatare quanto la neonata le avesse modificato col suo apparire il corpo. I punti le tiravano procurandogli disagio ma era la pancia il suo cruccio.Una massa molle che dichiarava al mondo il suo stato di puerpera.Presa da se stessa non si accorse che la piccola era scivolata sulla stoffa colorata del copriletto ruotando la testolina ed annaspava non riuscendo a prendere aria.La mancanza d’ossigeno le impediva di emettere suono,si stava stancando e stava abbandonando la lotta per la sopravvivenza. Carlo era salito quasi di soppiatto,come una lesta lucertola che viva nell’ombra per nascondersi ai predatori ma aneli il sole caldo per sentire scorrere la vita nelle vene.Alla vista del fragile fagotto,immaginato e desiderato per nove solitari algidi mesi, si slanciò con un grido strozzato rigirando Coline la quale finalmente prese respiro,proclamato da un urlo pari a quello emesso trionfalmente alla nascita. Mara si girò in tempo per vedere Carlo addosso alla piccola che vagiva,rossa,sofferente.Come una fiera che non conosca pietà e divori ben più del pasto necessario ubriacandosi alla vista del sangue e continuando a sbranare ella si gettò sul maschietto colpendolo con tutta la forza al viso,al petto,con pugni,morsi,strappandogli i capelli,gridandogli come fosse stanca di lui,come non ce la facesse più a sopportarlo.Lo trascinò per le braccia nella cameretta accanto e lo congedò con un calcio. Carlo guardò la porta della sua stanza chiudersi e si sentì sollevato. Poteva rifugiarsi fra le sue cose,tornare nel suo regno dove timidi animaletti sfidavano il fuoco,il mare per
giungere da lui,per amarlo e proteggerlo.
III