Autore Topic: Il veleno del linguaggio  (Letto 7390 volte)

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Offline Barbara Golini

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Re: Il veleno del linguaggio
« Risposta #45 il: Venerdì 12 Marzo 2010, 17:16:05 »
per me che vivo in un contesto culturale estremamente multi e che nn ho mai vissuto all'insegna di un tipo culturale anche se posso definirmi italian nn solo perché parlo l'italian dalla nascita,è molto difficile restringere il mio spaziare (visto che poi parlo 5 lingue e adoro molte delle culture di cui parlo le lingue in aprticolare una), ma mi rendo conto che questo diventa UN DIFETTO EPUR CONCORDANDO APPIENO CON QUANTO DETTO DA CORRIPIO; DEBBO DIRE CHE CERCO DI NON LEGGERE MAI LA BIOGRAFIA DI UN AUTORE PRIMA DI LEGGERLO; MA SEMPRE DOPO PERCHÉ MI PIACE VEDERE SE RIESCO NONOSTANTE TUTO A PERCEPIRE IL SUO MESSAGGIO O COMUNQUE QUALCOSa. è vero quanto dice Frammento che, normalmente si stabiliscono delle convenzioni che ci portano a dover esprimere la poesia in un certo qual modo, ma allora quanto artisticamente rilevante, ma estremamente originale deve rimanere fuori dal concetto di poesia? O invece se ne devono ristabilire i canoni? Per quel che riguarda invece il concetto espresso da Frammento che la cosa fa la parola (è il pino che fa il pino), mi dispiace ma nn condivido e con Maigritte sostengo che "ceci nest pas une pipe"!

goccia

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Re: Il veleno del linguaggio
« Risposta #46 il: Venerdì 12 Marzo 2010, 18:31:10 »
Barbara prima di tutto piacere..non ci conosciamo  :)
Intendevo dire che se non ci fosse l'oggetto pino, faticherebbe ad esistere la parola pino..poi tu apporti una citazione che adoro eheh che però ha un significato decisamente più profondo, che esula anche dalla logica comune se vogliamo..questa non è una pipa, vero..tant'è che potremmo indicare il sole e dire "quello non è il sole"..ma credimi se ti dico che avremmo decisamente più difficoltà a comprenderci..
Il linguaggio è una convenzione per avvicinare gli uomini..l'immaginazione è una convenzione per allontanarli (per quanto io ci sguazzi con piacere).Il significato può essere certo soggettivo, ma sta di fatto che se guardo il sole non sto guardando una borsa di Chanel..quando qualcuno ammette il contrario di solito finisce in cura da uno psichiatra..a meno che non si chiami Magritte  :)

Offline Marina Como

Re: Il veleno del linguaggio
« Risposta #47 il: Sabato 13 Marzo 2010, 12:39:19 »
Stefano ma come fai a citare così??? a me rimane tutto azzurro ahahahahah
accertati di uscire dal quote finale della citazione! hehehe
Se voglio fare la stronza ci riesco bene.  Talmente bene che quasi quasi ci sono. O forse ci sono.  Si, deciso.

dave_du_demon

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Re: Il veleno del linguaggio
« Risposta #48 il: Sabato 13 Marzo 2010, 13:15:08 »
Mi piacerebbe tanto intervenire, ma la mia incompetenza (o ignoranza) me lo impedisce. Questo post è illuminante.

Offline Angelo Ricotta

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Re: Il veleno del linguaggio
« Risposta #49 il: Venerdì 19 Marzo 2010, 09:08:50 »
Per quel che riguarda invece il concetto espresso da Frammento che la cosa fa la parola (è il pino che fa il pino), mi dispiace ma nn condivido e con Maigritte sostengo che "ceci n'st pas une pipe"!

Magritte non dava alla sua affermazione "Ceci n'est pas une pipe" il significato che tu gli attribuisci. Voleva invece intendere che quella non era la vera pipa ma la sua rappresentazione pittorica. Ovvero la pittura, l'arte è sempre una rappresentazione della realtà non la realtà stessa. Pertanto nel rappresentarla io posso modificarla a piacimento fino a stravolgerla, cosa che egli faceva puntualmente. Ma se io indico una pipa su un tavolo e dico "quella è\non è una pipa", allora è chiaro che nel primo caso sto dicendo la verità, nel secondo una falsità, secondo le comuni convenzioni del linguaggio. Se poi voglio ribattezzare la pipa con un altro nome, padronissimo, basta saperlo per intenderci. Conosco persone il cui vero nome è Giovanna ma si fanno chiamare Rosanna, pare da sempre!

Offline Barbara Golini

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Re: Il veleno del linguaggio
« Risposta #50 il: Giovedì 1 Aprile 2010, 21:46:40 »
esattamente quello che dicevo....il significato semantico e la realtà, una pipa è una pipa se cosi la definisci sia in pittura che in semantica, nn lo è più se da sempre la chiami sedia....definire aiuta ad orientarsi ma limita 

Offline Angelo Ricotta

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Re: Il veleno del linguaggio
« Risposta #51 il: Domenica 18 Aprile 2010, 11:47:52 »
esattamente quello che dicevo....il significato semantico e la realtà, una pipa è una pipa se cosi la definisci sia in pittura che in semantica, nn lo è più se da sempre la chiami sedia....definire aiuta ad orientarsi ma limita 
Scusa se insisto ma non è così.
Per amor di precisione, non certo per aver l'ultima parola.
Frammento, come ella stessa ha dichiarato, ha affermato che se non ci fosse l'oggetto non esisterebbe neanche la parola per definirlo. Questa affermazione è nel contempo tautologica e profonda. E' tautologica se pensiamo che se non c'è l'oggetto non ci verrebbe in mente, ovviamente, di coniare una parola per definirlo. Potrebbe però accadere che, ad esempio, la parola "sole", in mancanza dell'attuale oggetto "sole" avrebbe potuto essere usata per definire un altro oggetto. E qui entriamo nel campo irrisolto dell'origine del linguaggio quando eravamo poco più che scimmie e poco meno che umani. Com'è accaduto che abbiamo chiamato sole il sole? Naturalmente è solo un esempio in quanto non si sa come chiamavano il sole i primi ominidi, forse con un breve grugnito onomatopeico del tipo "el-el". Mi chiedo se le attuali scimmie hanno un grugnito per il sole. Ma c'è un altro aspetto ancora. Se continuando ad esplorare la realtà scopriamo un oggetto che non somiglia a nulla di ciò che abbiamo sperimentato fino ad adesso come lo chiameremo? Sarà interessante verificarlo. Inoltre la considerazione di Magritte andava al di là della semantica, del rapporto parola-oggetto,problematica già ben nota e studiata anche ai suoi tempi(Semantica in wikipedia), si riferiva al fatto che la rappresentazione pittorica,accurata che volesse essere, da una parte non poteva cogliere tutti gli aspetti della realtà, d'altronde neanche la fotografia lo può, dall'altra che abbiamo il diritto di manipolare la realtà nella sua rappresentazione. Infine non mi è chiaro cosa intendi quando affermi "...definire aiuta ad orientarsi ma limita". In che senso mi limita il fatto di definire sole il sole? E poi come potremmo fare altrimenti? In qualche modo dobbiamo pur denominarlo. Naturalmente il mio sole può non essere il tuo nel senso che le esperienze, i ricordi, le emozioni, le riflessioni associate ad esso sono diverse per ciascuno di noi. C'è chi sotto il sole trova l'amore e c'è chi sperimenta la disperazione. Ma per esprimere questo occorrono più parole, la poesia ad esempio.

Clodia

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Re: Il veleno del linguaggio
« Risposta #52 il: Domenica 18 Aprile 2010, 18:08:41 »
In semantica si distingue fra significato denotativo e significato connotativo delle parole. Il primo è quello che definiremmo basico: la parola casa rimanda a una costruzione parallelepipeda con tetto, ecc. Il secondo è quello che l'immaginario collettivo gli attribuisce: casa è nel mondo sinonimo di famiglia o rifugio, identità, patria di origine e così via. Ora, poniamo che per un artista la parola o l'immagine della casa evochi qualcosa di non così rassicurante: in un quadro la rappresenterà in modo angosciante, in una luce buia ad esempio; in una poesia, assocerà a questo sostantivo aggettivi e immagini che contraddicano il significato connotativo universalmente accettato. Si avrà quindi un effetto straniante tipico solo di quell'artista e di nessun altro; egli interpreta a modo suo il bagaglio lessicale/immaginativo dell'essere umano, e questo è arte.
In epoca contemporanea si è dato largo spazio a questa interpretazione personale del mondo ma anche quando in arte si parlava di "naturalismo", a ben vedere comunque l'artista dava la sua visione personale, non altro. Come detto sopra, questo accade anche nella fotografia.
L'artista è colui che ha dentro un significato delle cose (di conseguenza, in poesia, delle parole per definirle) che si distacca oltre che da quello denotativo anche da quello connotativo universale. Mi viene in mente il celebre aforisma di Wilde secondo cui "Un poeta che chiami zappa una zappa dovrebbe essere condannato ad usarla"  ;).
Pensando alla pittura mi viene in mente Edward Hopper, considerato un "realista", che invece carica enormemente i suoi quadri con atmosfere completamente oniriche; o le piazze di De Chirico, perfettamente irreali nel loro realismo.
Quand'è che c'è il veleno nel linguaggio? Secondo me quando il poeta (tornando alla poesia) usa i significati comuni in contesti comuni (perché un effetto poetico può derivare anche dall'usare significati comuni in un contesto non comune; un esempio è Montale con il suo correlativo oggettivo o anche Dante, che descrive tutto per benino come se fosse vero e normale nella DC ma sappiamo che non è così). Insomma, se io dico "oggi ho il cuore spezzato/ perché il mio uomo se n'è andato" anche se c'è la rima non è poesia perché ci sono parole usate normalmente in un contesto normale. Se invece dico "raccolgo intorno a me i frantumi degli specchi/il giorno sembra stanco come un vecchio" (è penosissima, lo so; giusto per buttare un esempio  :-\) sono sulla strada buonina: ho usato parole riconoscibili in un contesto diverso, attribuendo agli oggetti e al tempo il mio stato d'animo.
Io non so se ho dato un contributo utile, se ho detto cose fuori tema...come non detto!  ;D

Offline Angelo Ricotta

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Re: Il veleno del linguaggio
« Risposta #53 il: Domenica 18 Aprile 2010, 20:44:38 »
Quand'è che c'è il veleno nel linguaggio? Secondo me quando il poeta (tornando alla poesia) usa i significati comuni in contesti comuni (perché un effetto poetico può derivare anche dall'usare significati comuni in un contesto non comune; un esempio è Montale con il suo correlativo oggettivo o anche Dante, che descrive tutto per benino come se fosse vero e normale nella DC ma sappiamo che non è così). Insomma, se io dico "oggi ho il cuore spezzato/ perché il mio uomo se n'è andato" anche se c'è la rima non è poesia perché ci sono parole usate normalmente in un contesto normale. Se invece dico "raccolgo intorno a me i frantumi degli specchi/il giorno sembra stanco come un vecchio" (è penosissima, lo so; giusto per buttare un esempio  :-\) sono sulla strada buonina: ho usato parole riconoscibili in un contesto diverso, attribuendo agli oggetti e al tempo il mio stato d'animo.
Io non so se ho dato un contributo utile, se ho detto cose fuori tema...come non detto!  ;D
Il tuo intervento è senz'altro interessante e sottolinea alcuni utili concetti. Però riguardo all'affermazione surriportata ho delle riserve. Anche se questa tecnica "estraniante" (star wars insegna!) può essere usata con profitto non è imperativa per comporre poesie anche eccelse. Se si applicasse in modo rigoroso questo tuo criterio un numero sterminato di famosissimi poeti non sarebbero da ritenere più tali in quanto il loro linguaggio, pur ricercato, non usa mai o quasi mai questi espedienti.

Clodia

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Re: Il veleno del linguaggio
« Risposta #54 il: Domenica 18 Aprile 2010, 20:53:54 »
Sì, certo, infatti io ho voluto fare un esempio dei tanti.Tuttavia, anche i poeti di cui tu parli "connotano" le parole in un senso diverso da quello comunemente usato. In poesia tutto, anche la descrizione più realistica, indica "altri" e questo si ottiene proprio con la mancanza del realismo. Prendiamo "La pioggia nel pineto": è una descrizione iperrealistica con tanto di linguaggio aulico e molto preciso di un acquazzone ma NON è una descrizione bensì poesia.
Come la spieghiamo?  ;)

Offline Angelo Ricotta

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Re: Il veleno del linguaggio
« Risposta #55 il: Domenica 18 Aprile 2010, 21:42:43 »
... ma NON è una descrizione bensì poesia.
Come la spieghiamo?  ;)

Riporto, per brevità, solo un frammento della poesia, e lo riporto pure "in prosa":<Ascolta. Piove dalle nuvole sparse. Piove su le tamerici salmastre ed arse, piove sui pini scagliosi ed irti, piove su i mirti divini, su le ginestre fulgenti di fiori accolti, su i ginepri folti di coccole aulenti>. Più descrizione di così! Un naturalista non avrebbe saputo fare di meglio. Dov'è la poesia? Ma proprio nell'accurata descrizione di un ambiente (una pineta) e di un evento in esso (la pioggia) densi di suggestioni per chiunque.
L'effetto viene esaltato dalla raffinata scelta delle parole, dalla loro disposizione, da certe aggettivazioni che proiettano particolari emozioni, dalle cadenze interne, da qualche metafora.

Clodia

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Re: Il veleno del linguaggio
« Risposta #56 il: Domenica 18 Aprile 2010, 22:19:56 »
Scusami  :), forse mi spiego male, ci riprovo. Non è possibile decontestualizzare dei versi; la poesia va letta nella sua totalità. E' chiaro che ci sono dei passaggi descrittivi ( a parte che poi, quell'insistere sulla descrizione nei suoi minuti particolari, con onomatopee e tutto,e quell'"ascolta" iniziale già trasportano in un'altra dimensione che non è la prosa) ma la poesia - nella sua compiutezza - non è una descrizione. Il famoso senso panico della natura, la presenza femminile con un nome classicheggiante, il compiacimento del poeta e la trasformazione finale in esseri fitomorfi decretano che "La pioggia nel pineto" è poesia, a prescindere dai singoli versi descrittivi. Non sto dicendo che non siano le cadenze, la posizione, le metafore a fare poesia; ma ci vuole anche un contesto "interiore" che faccia in modo da dire qualcosa di reale e nello stesso tempo qualcosa di completamente irreale ma condivisibile da molti.
Esempio di Ungaretti:

Variazioni sul nulla

Quel nonnulla di sabbia che trascorre
Dalla clessidra muto e va posandosi,
E, fugaci, le impronte sul carnato,
Sul carnato che muore d'una nube...

Poi mano che rovescia la clessidra,
Il ritorno per muoversi, di sabbia,
Il farsi argentea tacito di nube
Ai primi brevi lividi dell'alba...

La mano in ombra la clessidra volse
E, di sabbia, il nonnulla che trascorre
Silente, è unica cosa che ormai s'oda
E, essendo udita, in buio non scompaia.

Noi possiamo anche dire che è la descrizione di come la sabbia fa su e giù nella clessidra quando noi la giriamo e del colore dell'alba, ecc. Ma tutti avvertono che si tratta di una connotazione diversa delle parole, il poeta vuole parlarci del tempo e della sua fugacità, del poco che ci resta concretamente e via dicendo.
O no?  :)
« Ultima modifica: Domenica 18 Aprile 2010, 22:22:13 da Clodiaf0904 »

Offline Angelo Ricotta

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Re: Il veleno del linguaggio
« Risposta #57 il: Domenica 18 Aprile 2010, 22:52:57 »
il poeta vuole parlarci del tempo e della sua fugacità, del poco che ci resta concretamente e via dicendo.
O no?  :)
Certo, si chiama metafora, no? Comunque è evidente che tra Ungaretti e D'Annunzio ci sono profonde differenze. In D'Annunzio, almeno ne La pioggia nel pineto, l'elemento descrittivo, la fisicità delle sensazioni, sono gli elementi preponderanti, anche se non gli unici, inoltre il linguaggio è abbastanza comprensibile. La poesia di Ungaretti è tutta una metafora, in più il suo linguaggio è abbastanza oscuro. Il significato generale è quello che tu hai detto, ma il significato preciso di certe espressioni e di certe parole non è così immediato, bisogna studiarsela e magari ricorrere a qualche esperto commentatore. Entrambe però sono poesia. Non c'è una ricetta unica.

Offline Marina Como

Re: Il veleno del linguaggio
« Risposta #58 il: Lunedì 19 Aprile 2010, 01:43:33 »
Riporto, per brevità, solo un frammento della poesia, e lo riporto pure "in prosa":<Ascolta. Piove dalle nuvole sparse. Piove su le tamerici salmastre ed arse, piove sui pini scagliosi ed irti, piove su i mirti divini, su le ginestre fulgenti di fiori accolti, su i ginepri folti di coccole aulenti>. Più descrizione di così! Un naturalista non avrebbe saputo fare di meglio. Dov'è la poesia? Ma proprio nell'accurata descrizione di un ambiente (una pineta) e di un evento in esso (la pioggia) densi di suggestioni per chiunque.
L'effetto viene esaltato dalla raffinata scelta delle parole, dalla loro disposizione, da certe aggettivazioni che proiettano particolari emozioni, dalle cadenze interne, da qualche metafora.
:D La pioggia si può udire. Le nuvole sono rade. Le tamerici si bagnano, sono ricoperte di sale e stavano per seccare. I pini hanno la corteccia a scaglie, per la siccità e le loro foglie sono a forma di ago. La pioggia arriva anche nel sottobosco sui mirti, bagna anche le ginestre ed i loro fiori nel centro dei cespugli formati dai rami, i ginepri sono molto folti e pieni di bacche dal profumo caratteristico. 
Vado bene come naturalista? ;D  Le nuvole non mi passeggiano nel cervello dispargendosi, semmai potrebbe esserci il vento. Le tamerici si, hanno sete. I pini non si mettono a pungere i malcapitati, semplicemente se non gli rompete le scatole, le foglie rimangono lì,  nessuna ginestra dice a qualsiasi fiore, "prego, accomodati" ( o se preferite "raggruppiamo un pochino questi fiori") ed in tutto questo il ginepro non si sognerebbe mai che un qualche essere umano possa sentirsi coccolato dal sentire l'odore di una sua bacca, bhe, la grappa è buona, anche in cucina i piatti assumono un altro sapore, ma questa è un'altra storia ed il ginepro neanche lo sa, non sa perché quel deficente che passa gli rompe sempre "le bacche"!  No, non credo sia solo una descrizione naturalistica, vi è tutta una storia narrata con essa, vi è tutto un vivere personale dello sbevazzatore di grappa, ad esempio! A me il ginepro non piace! Ma devo dire che la bacca posso pure immaginarla come un rovo di more: buone!(per me), e non cambierebbe il modo di leggerne il sentimento, tanto piove pure sui rovi! Ecco che non importa se mi piace o no il ginepro, importa che piove e che mi disseto e coccolo leggendo. Nessun veleno, solo bontà: è poesia.
Se voglio fare la stronza ci riesco bene.  Talmente bene che quasi quasi ci sono. O forse ci sono.  Si, deciso.

Clodia

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Re: Il veleno del linguaggio
« Risposta #59 il: Lunedì 19 Aprile 2010, 06:32:58 »
Certo, si chiama metafora, no? Comunque è evidente che tra Ungaretti e D'Annunzio ci sono profonde differenze. In D'Annunzio, almeno ne La pioggia nel pineto, l'elemento descrittivo, la fisicità delle sensazioni, sono gli elementi preponderanti, anche se non gli unici, inoltre il linguaggio è abbastanza comprensibile. La poesia di Ungaretti è tutta una metafora, in più il suo linguaggio è abbastanza oscuro. Il significato generale è quello che tu hai detto, ma il significato preciso di certe espressioni e di certe parole non è così immediato, bisogna studiarsela e magari ricorrere a qualche esperto commentatore. Entrambe però sono poesia. Non c'è una ricetta unica.
Certo, si chiama metafora, no? Comunque è evidente che tra Ungaretti e D'Annunzio ci sono profonde differenze. In D'Annunzio, almeno ne La pioggia nel pineto, l'elemento descrittivo, la fisicità delle sensazioni, sono gli elementi preponderanti, anche se non gli unici, inoltre il linguaggio è abbastanza comprensibile. La poesia di Ungaretti è tutta una metafora, in più il suo linguaggio è abbastanza oscuro. Il significato generale è quello che tu hai detto, ma il significato preciso di certe espressioni e di certe parole non è così immediato, bisogna studiarsela e magari ricorrere a qualche esperto commentatore. Entrambe però sono poesia. Non c'è una ricetta unica.

Mi rendo conto che non sono stata chiara ma non fa niente, qui il fine è solo di scambiare opinioni. Solo una cosa: non lasciarti ingannare - quando leggi una poesia - dal fatto che ci sia un chiaro "elemento descrittivo" e la "fisicità dellle sensazioni" all'ennesima potenza; anche in tal caso il poeta vuole dire qualcosa che sta al di sotto della "realtà".


P. S. Nel testo di Ung. mi azzarderei più che altro a parlare di allegoria, non metafora. Ciao!  :)