Uno dei più ingenui e comuni errori che si rischia di commettere nella versificazione è quello di infarcire il componimento di cosiddette immagini poetiche, trascurando il suono dei fonemi e l’armonia. Il tentativo di riprodurre, attraverso un sistema rappresentazionale puramente auditivo (il linguaggio), una visione o un immagine, sfocia spesso in banalità, clichés e luoghi comuni. Se vi siete cimentati nell’esercizio di descrivere a qualcuno un’immagine, sapete bene che non è per niente facile e, soprattutto, non v’è la certezza che il ricevente, attraverso le vostre parole, si crei mentalmente l’esatta immagine che state tentando di descrivere. Il motivo di questa distonia comunicativa è semplice: ogni parola, per ognuno di noi, richiama un’esperienza soggettiva diversa. La parola ‘mela’ non identifica l’oggetto mela, bensì la nostra esperienza della mela, vale a dire il modo in cui noi, mentalmente, ci ri-rappresentiamo la mela. Ora, sono assolutamente certo che alcuni di voi stanno pensando a una mela rossa, altri a una mela gialla, altri ancora a una mela verde. Nessuno ha pensato a una mela blu. Questo perché, nella nostra esperienza, non esistono mele blu. Allo stesso modo, quando in una poesia leggiamo la parola ‘tramonto’, proiettiamo su quella parola la nostra esperienza. Si può affermare, quindi, che le parole fungono da innesco alle nostre rappresentazioni visive interiori. Il poeta deve tener conto di questo: ciò che ci rappresentiamo attraverso la parola passa attraverso un filtro: la nostra esperienza soggettiva. Questa è anche la ragione per cui, spesso, l’interpretazione di un testo poetico può variare profondamente da lettore a lettore. E se è indubbio che colui che scrive, lo fa da un punto di vista soggettivo - vale a dire, rappresenta a se stesso la sua esperienza attraverso il linguaggio (Bandler e Grinder, “The Structure Of Magic, Vol. I”, 1976) - è altrettanto indubbio che chi legge prende quell’esperienza e, a sua volta, proietta su di essa il suo modello.
Le parole NON SONO le cose che rappresentano. Sono soltanto simboli: sonori quando verbalizziamo, grafici quando scriviamo. Se ci dimentichiamo di questo, il linguaggio diventa un veleno che paralizza la creatività e, in taluni casi, la vita stessa. Ma se lo teniamo sempre a mente, allora può diventare il nettare più dolce, la linfa creativa che ci permette di crescere come esseri umani e come artisti.
Il poeta deve necessariamente operare su un doppio livello di comunicazione. A un primo livello, rappresenta a se stesso, attraverso le parole, il proprio modello del mondo; a un secondo livello, descrive al lettore il proprio modello, e lo fa operando nella sfera della condivisione del significato. Eppure è proprio all’interno di questa che nascono e si autoalimentano i due nemici fatali della poesia: il luogo comune e l’immagine poetica. Paradossalmente, egli più tenta di essere poetico e più diviene banale e impoetico.