Autore Topic: Il veleno del linguaggio  (Letto 7356 volte)

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aureliastroz

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Re: Il veleno del linguaggio
« Risposta #30 il: Giovedì 11 Marzo 2010, 23:44:13 »
Chiedo venia, sono mortificato dalla mia stessa ignoranza, ma non conosco i due autori da te citati. Pur tuttavia prendendo atto di quanto tu affermi, mi sembra che non ci siano puntini da mettere a posto, perché mi dai conferma, quando dici: “il suo linguaggio era l'essere andato troppo oltre la media degli intellettuali”, di quanto io stesso ho affermato.
Anche loro rifiutavano la “filosofia” imperante a quei tempi e mi sembra di capire che con il loro atteggiamento abbiano messo in discussione quelli che erano i canoni letterari di allora. E gli intellettuali loro contemporanei rifiutavano il loro modo di porsi perché in contrasto con il  pensiero generale esattamente come ora il ben pensiero rifiuta il linguaggio “ricercato” e fuori dagli schemi ripetitivi.

Offline Barbara Golini

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Re: Il veleno del linguaggio
« Risposta #31 il: Venerdì 12 Marzo 2010, 09:10:13 »
accidenti! scusami conte, ho citato qualcosa dando per scontato qualcos'altro(ecco l'inganno della comunicazione).....eppure da buona insegnante avrei dovuto far dimeglio :-\, nn scherzo giuro! Mi pongo sempre questo problema quando la comunicazione manca di qualche elemento acc! Hai ragione, ora finalmente con questo parlare di tutto e di più ho capito cosa intendi e che significato dai a linguaggio elevato. Una grande limnguista polacca di cui ho avuto al fortuna di seguire le lezioni , diceva che-come penso stiamo dicendo da qualche intervento qui- il significato semantico di una parola e un concetto, pur se definito dalla regola, può nascondere alcunoi tranelli nell'intrpretazione personale (e qui mi riparlo addosso e risottolineo quello che massimiliano e conte dicono)aiuto!! mi sono persa! accidenti! Quel che volevo dire è che finalmente ora so cosa intendi e credo che su questo concetto non si possa nn essere daccordo. Chi si proietta nel futuro percepisce il passato come arcaioco e superato, allora vi pongo io una domanda alla quale ho trovato da anni una mia risposta. Il futuro deve cancellare tutto il passato con un colpo di spugna come spesso sottolineavano i futuristi oppure deve farsi forte del suo passato e portarlo nel nuovo come sottolineava Nietzsche?
barbara
p.s. èmolto molto difficle esprimere quanto si vuol dire in un forum  anche questo è un problema di comunicazione, menomale le faccine allora che riespcono a rendere in parte il sentimento per null'affatto arrogante che si nasconde dietrop queste nostre discussioni, molto molto stimolanti! :laugh:

masman

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Re: Il veleno del linguaggio
« Risposta #32 il: Venerdì 12 Marzo 2010, 09:45:52 »
Vorrei prendere l’intervento di Gaia22 per dare una dimostrazione “pratica”. L’autrice dice: “…perché siamo fatti così…”. Se ci prendiamo la briga di analizzare questa struttura superficiale, scopriamo immediatamente che è incompleta. Manca innanzi tutto un indice referenziale (chi è fatto così?). L’altra domanda da porre per far emergere la struttura profonda è: come siamo fatti? E proseguendo: siamo TUTTI fatti così?
Posto che la frase non sia stata buttata lì per caso tanto per riempire un po’ di spazio bianco, ci risulta difficile penetrare la mappa di chi l’ha scritta. Per trovare un senso, siamo obbligati a proiettare su di essa la nostra mappa, la nostra esperienza.  Vado oltre. L’uso del verbo essere in forma così fortemente assolutista denota una pericolosa cristallizzazione di identità. Ogni volta che diciamo “Sono fatto/a così”, finiamo davvero col crederci e ci identifichiamo col nostro “essere fatti così”. Ma nessun essere umano “è fatto così”. Siamo in continua, costante evoluzione – io non sono già più la persona che ha iniziato cinque minuti fa a scrivere questo post. Dire a noi stessi “siamo fatti così” significa usare il linguaggio come un incantesimo che si auto-realizza. Significa usare il linguaggio come un veleno che ci paralizza. Ancora una volta: come artisti e come esseri umani.

Offline Marina Como

Re: Il veleno del linguaggio
« Risposta #33 il: Venerdì 12 Marzo 2010, 12:17:54 »
i- il significato semantico di una parola e un concetto, pur se definito dalla regola, può nascondere alcunoi tranelli nell'intrpretazione personale ...(omissis)...
 Chi si proietta nel futuro percepisce il passato come arcaioco e superato, allora vi pongo io una domanda alla quale ho trovato da anni una mia risposta. Il futuro deve cancellare tutto il passato con un colpo di spugna come spesso sottolineavano i futuristi oppure deve farsi forte del suo passato e portarlo nel nuovo come sottolineava Nietzsche?

  Ma nessun essere umano “è fatto così”. Siamo in continua, costante evoluzione –
Può sembra strano, ma io ho la concezione dell'essere umano come di una cipolla fatto a strati ( ;D Si, la cipolla fà piangere, ma questa è un'altra storia.)
Ora ogni strato rappresenta le nostre esperienze, sicchè ci troviamo ad assorbire strati su strati ogni, non minuto, ma secondo che passa. Ogni cosa che "percepiamo" aggiunge uno strato al nostro essere, per cui finchè abbiamo in qualche modo, qualsiasi modo, contatto con il mondo, noi variamo: siamo cioè prodotti di noi stessi, delle nostre percezioni, in continua evoluzione.
Alla stessa stregua, il presente non può che essere il prodotto del passato, e quegli sprazzi di "visioni future" non sono che presente. Come la storia dimostra, non tutti arrivano alle stesse conclusioni, non tutti arrivano ad una stessa conclusione nello stesso istante. Non si tratta quindi di "gettare all'aria" il passato, (rinnegheremmo il nostro essere, o se preferite come poeti, il nostro "bambino" così presente nei nostri sogni e contraddizioni) ma servirsi di esso per poter avere una esatta concezione di presente. Concludendo: tanto più il passato ci appartiene, tanto più abbiamo le conoscenze, meglio possiamo interagire con il nostro presente, ma attenzione, per conoscenza non intendo soltanto nozione, ma anche e soprattutto il "nostro essere vissuto". Quante volte ci stupiamo della saggezza di un ignorante qualsiasi che però magari "conosce il mondo" e lo interpeta come noi non riusciamo a fare? Probabilmente perché il "suo vedere" ha proprio quella risposta che noi pensavamo di star cercando per vie traverse. Mi ritorna il mente il libro "il formaggio e i vermi" (Ginzburg) egregia descrizione del mondo fatta da un contadino davanti al tribunale della santa inquisizione.
Ritornando al nostro post, posso dire che tanto più riusciamo ad incidere nello strato altrui con la comunicazione adatta a lui, (non ci si rivolge al bambino come ad un adulto) meglio avremo raggiunto l'obiettivo della nostra comunicazione. Importante diviene quindi anche la "scelta" del nostro "obiettivo" (lettore) della comunicazione. Ogni insegnante lo sa!
La "scelta del target" potrebbe anche essere lasciata al caso: chi vuol capire, capisca. O se preferite: sono curioso di sapere chi è colui che riesce ad afferrare la mia comunicazione, io esprimo quel che desidero condividere, un pochino come: "chi vuole? un gelato al cioccolato? Preferisci la crema? Pazienza, io ora ho il cioccolato, chissà, forse domani se mi dici come si fa la crema, (o se ho voglia di farlo, già ne possiedo le competenze) io te ne farò uno"
« Ultima modifica: Venerdì 12 Marzo 2010, 12:28:13 da Marina Como »
Se voglio fare la stronza ci riesco bene.  Talmente bene che quasi quasi ci sono. O forse ci sono.  Si, deciso.

Offline Stefano Toschi

Re: Il veleno del linguaggio
« Risposta #34 il: Venerdì 12 Marzo 2010, 12:56:27 »
Cerco di capire.
Ad esempio, se io dico:

Immagina una mela renetta di colore giallo, forma regolare, diametro circa 9 cm

La descrizione è sufficientemente precisa e ognuno che abbia cognizione dei termini usati comprenderà con esattezza di cosa sto parlando (anche se poi ognuno si rappresenterà la sua mela in base alla propria esperienza).
Ho definito con buona esattezza l’oggetto del mio discorrere.

Se dico:

Immagina una mela

Ognuno si immaginerà la sua mela, chi rossa, chi verde, chi gialla, chi grande, chi piccola, e Lorenzo un altro tipo di mela.
Ho definito l’oggetto di cui parlo in maniera generica.

Se dico:

Una mela mi osserva

Non definisco una situazione oggettiva, ma un’impressione soggettiva, con una espressione oggettivamente assurda, ma che può essere ugualmente significativa se riesce ad evocare una qualche esperienza soggettiva nel lettore.

In nessuno dei casi il linguaggio introduce un veleno nella comunicazione, svolge semplicemente la funzione che in ciascun caso gli si è assegnata: ora di fornire una descrizione più o meno esatta, ora un’immagine oscuramene evocativa.

Certo il linguaggio costituisce pur sempre un filtro tra la nostra conoscenza e la realtà, ed il suo uso comune contiene molte ambiguità. Tuttavia, di fatto, svolge adeguatamente il suo compito comunicativo ed il livello di precisione, di suggestione o di ambiguità della comunicazione dipende dall’uso che se ne fa.

Si è poi parlato dell’utilizzo di luoghi comuni e di immagini poetiche stereotipate. Da questo punto di vista il veleno diventa il restare imprigionati in certi schemi linguistici i quali si ritiene siano gli unici a garantire una comunicabilità. Ma anche in questo caso, mi sembra, il veleno consiste nell’uso, non nel linguaggio in sé.

In definitiva, io direi che quello che fa la differenza, nell’arte, è l’uso originale del linguaggio (sia esso quello pittorico, cinematografico, poetico ecc.), compresi i suoi luoghi comuni ed i suoi stereotipi. L’efficacia definitoria della comunicazione non è determinante, nel senso che può essere cercata o meno.
« Ultima modifica: Venerdì 12 Marzo 2010, 13:00:47 da Stefano Toschi »
"Ogni certezza è nel sogno" (E. Poe)

Offline Stefano Toschi

Re: Il veleno del linguaggio
« Risposta #35 il: Venerdì 12 Marzo 2010, 12:58:19 »
Il futuro deve cancellare tutto il passato con un colpo di spugna come spesso sottolineavano i futuristi oppure deve farsi forte del suo passato e portarlo nel nuovo come sottolineava Nietzsche?

Secondo me cancellare il passato è pura illusione: noi siamo il nostro passato. L’alternativa è usarne consapevolmente o usarne senza saperlo?
Meglio la prima.
"Ogni certezza è nel sogno" (E. Poe)

Offline Marina Como

Re: Il veleno del linguaggio
« Risposta #36 il: Venerdì 12 Marzo 2010, 13:11:58 »
Cerco di capire.
Ad esempio, se io dico:

Immagina una mela renetta di colore giallo, forma regolare, diametro circa 9 cm

La descrizione è sufficientemente precisa e ognuno che abbia cognizione dei termini usati comprenderà con esattezza di cosa sto parlando (anche se poi ognuno si rappresenterà la sua mela in base alla propria esperienza).
Ho definito con buona esattezza l’oggetto del mio discorrere.

No, credo che il "veleno" nasca dal fatto che io possa pensare: "ma il diametro è verticale, od orizzontale? Massimo o minimo? O la mela è completamente tonda come un'aracia? No, la mela non è tonda, secondo me... " ecc... ecc...
Il veleno nascerà nel momento in cui tu dirai... dalle un morso, magari per dirmi che ne senti il succo fluire, piacevole e dissetarti... invece a me non piacciono le mele! E comincio a sentire lo stomaco in disordine.
Quindi per una buona comunicazione, bisogna anche che il lettore "sappia sentire", che si ponga la domanda: cosa mi vuol far capire? Cosa cerca di comunicare? Ed in questo, tanto più esiste la empatia bilaterale, tanto la comunicazione risulterà efficace. Si, mi rivengono sempre in mente le mie cipolle ed i neuroni a specchio!  Questi ultimi io, per mia visione personale, o filosofia se credete meglio, li identifico proprio con l'empatia.
Se voglio fare la stronza ci riesco bene.  Talmente bene che quasi quasi ci sono. O forse ci sono.  Si, deciso.

Offline Stefano Toschi

Re: Il veleno del linguaggio
« Risposta #37 il: Venerdì 12 Marzo 2010, 15:03:08 »
Ma non credo che sia questo, Marina. Una mela renetta ha caratteristiche ben precise, non è un’arancia.
Il linguaggio può essere sufficientemente preciso per gli usi ordinari (nella misura che di volta in volta si richiede), ove la sua precisione non è sufficiente sono stati introdotti specifici linguaggi formali.
Quando in poesia si usa il linguaggio in maniera non ordinaria, e il significato non risulta univoco, lo si fa o perché ciò che si vuole esprimere non è esprimibile esattamente o pienamente con un uso ordinario del linguaggio, ed allora si cerca di suggerirlo con un suo uso creativo, oppure perché proprio si ricerca una originalità di espressione.
Altro è il fatto che il linguaggio condiziona il nostro approccio alla realtà, crea un condizionamento culturale: questo può essere un veleno.
"Ogni certezza è nel sogno" (E. Poe)

Offline Barbara Golini

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Re: Il veleno del linguaggio
« Risposta #38 il: Venerdì 12 Marzo 2010, 15:09:10 »
con la famosa linguista polacca SI PARLAVA GUARDA UN PO' PROPRIO DELLA MELA E DEL SUO SIGNIFICATO SEMANTICO E IN AULA LA NOSTRA COLLLEGA VIETMANAMITA, CERCANDO SUL DIZIONARIO TROVÒ TRADOTTA MELA CON IL TERMINE CORRISPONDENTE IN VIETNAMITA : cHE C'É DI STRANO? BEH! ANALIZZANDONE IL SIGNIFICATO SEMANTICO LEI (LA VIETMANMITA) NON RIUSCIVA A CAPIRE; MA UNA MELA NON È ROSSA O GIALLA O TUTT'É DUE E NEMMENO GRANDE E FORSE VERDE!!!! IN VIETNAM UNA MELA HA TUTT'ALTRO ASPETTO É PICCOLA E MARRONE. aCCIDENTI QUALCOSA NON AVEVA FUNZIONATO! Accipicchia al mio computer! ho scritto tutto in maiuscolo o per dirla in italiano germanico tutto grande!
ho un gran porblema di comunicazione con il mio notebook......non ci capiamo a fondo....e pasticciamo insieme messaggi sul forum.




Offline Stefano Toschi

Re: Il veleno del linguaggio
« Risposta #39 il: Venerdì 12 Marzo 2010, 15:30:26 »
Naturalmente “mela” in italiano e “mela” in vietnamita sono due parole diverse appartenenti a due contesti linguistici diversi e i loro significati potrebbero coincidere solo parzialmente.
Questo potrebbe essere un esempio, abbastanza innocuo, del fatto che il linguaggio costituisce un condizionamento culturale.
Tuttavia, se la ragazza vietnamita, conoscesse davvero bene l’italiano, sentendo parlare di “mela renetta” si rappresenterebbe una mela renetta (sempre che la abbia presente) e non una mela vietnamita.
Sentendo parlare di “mela” senza ulteriori specificazioni si rappresenterebbe la mela che le è più familiare: quella vietnamita. Il livello di precisione della comunicazione glielo consentiva, forse il parlante non aveva messo in preventivo una rappresentazione del genere, forse lui pensava a una mela rossa. Probabilmente non era importante, per l’efficacia della comunicazione, a quale tipo di mela si pensasse. Se invece era importante, il fraintendimento è dovuto all’uso non sufficientemente accorto (in rapporto alla situazione) del linguaggio, non al linguaggio stesso.
"Ogni certezza è nel sogno" (E. Poe)

goccia

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Re: Il veleno del linguaggio
« Risposta #40 il: Venerdì 12 Marzo 2010, 16:03:45 »
Non sono sicura di aver compreso il succo del discorso, ma dato che sto scrivendo mi sto convincendo momentaneamente di potermi fare un'idea o di poter apportare un'opinione.
Le parole non sono gli oggetti che rappresentano (non sono d'accordo),sono simboli certo, tant'è che la logica, la fonetica, la filologia ecc non sono un'opinione, non per tutti almeno..
Ciò che però vorrei dire (sono stati citati molti autori ma ne mancano almeno due, uno dei quali non tratterò eheh) è che per quanto riguarda il legame tra espressione linguistica e individuo (tutto è soggettivo, ma anche no eheh) bisognerebbe citare il signor Frege che tanto ha detto e tanto ha fatto in proposito..ribalto un po' la questione quindi riportando l'esempio della mela (io ho pensato a Biancaneve, ma penso che sia colpa della mia tenerissima età ahahah)..
L'enunciato "c'è una mela" presuppone che esista una mela in questione..in questo senso la parola mela è esattamente congruente all'oggetto mela..allora non è più vero che le parole non sono gli oggetti che rappresentano.
Mettiamola così: se non ci fosse il soggetto pino non ci sarebbe la parola pino..è in realtà il soggetto pino a costituire un simbolo oggettivo da poter agganciare all'espressione pino anch'essa oggettiva (se dico pino nessuno pensa ad un crostaceo). Ora però vorrei anche far notare come, nel linguaggio naturale, sia anche possibile introdurre nomi senza riferimento. Prima ho parlato di Biancaneve, ma possiamo anche pensare alle formule matematiche e via dicendo.
Quindi?? quindi ci sarebbe da farsi una bella risata, stingere metaforicamente la mano a tutti questi signori e andare a mangiarsi un piatto di spaghetti..non lo si fa, meglio così per certi versi.
La cosa che volevo far capire è che noi possiamo dire tutto di tutto, possiamo parlare di tutto anche di quello che non esiste.
Per quando riguarda la poesia, sono dell'idea che un corso di logica linguistica non possa aiutare chi non è portato..la tesi qui difesa da una persona in particolare, secondo la quale tutto ciò che viene scritto è degno di pensieri buoni perchè arriva dall'anima lascia il tempo che trova..la poesia è poesia, qualunque cosa essa sia..c'è da dire però, che il soggettivismo difeso a costo di tutto non mi garba..l'arte, quella vera e quindi anche la poesia, è degna di lode solo se oggettiva, quindi se parlo di tramonti lo dovrei fare talmente bene da suscitare in tutti la stessa immagine..i greci e i romani c'erano riusciti..
Buona giornata a tutti

goccia

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Re: Il veleno del linguaggio
« Risposta #41 il: Venerdì 12 Marzo 2010, 16:06:32 »
Naturalmente “mela” in italiano e “mela” in vietnamita sono due parole diverse appartenenti a due contesti linguistici diversi e i loro significati potrebbero coincidere solo parzialmente.
Questo potrebbe essere un esempio, abbastanza innocuo, del fatto che il linguaggio costituisce un condizionamento culturale.

Stefano questi sono problemi sui quali ancora oggi c'è chi perde la ragione..una conclusione alla quale sono arrivati i dotti in questione è che "non esiste una traduzione corretta ed assoluta"..in questo modo ci si toglie dai pasticci e la ragazza vietnamita che conosce l'italiano o la ragazza italiana che conosce il vietnamita si può permettere di chiamare "frutta" una mela  :)
(non sono capace di fare le citazioni ahahahahahahahahah)

corripio

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Re: Il veleno del linguaggio
« Risposta #42 il: Venerdì 12 Marzo 2010, 16:52:27 »
Credo che tutto ciò che è stato scritto sia corretto, le contraddizioni nascono se gli obiettivi non sono comuni.
Se la premessa è quella di una comunicazione dall'autore al lettore, è valido il concetto dell'utilizzo di termini appropriati da parte del Poeta e di una base culturale da parte del lettore, oltre che curiosità e voglia di sfogliare un vocabolario.
Se invece la premessa è quella di una comunicazione possibile, ma non a tutti, allora le cose cambiano.
Ci saranno lettori che non capiranno e non proveranno niente, altri che per una capacità o casualità di sintonizzazione, avranno l'accesso alla fonte ispirativa dell'autore, saranno quindi capaci di interpretare e sentire ciò che leggono (sempre con il vocabolario vicino).
Se l'ispirazione è, come si dice, estranea ad un autore, lui è soltanto il canalizzatore, allora conta sì la preparazione che lui ha per scriverla; conta la forma, la musicalità ecc...
L'ispirazione, a volte, può trovare impreparato un autore, che non avendo schemi o riferimenti nel suo vissuto, può scrivere cose che anche a se stesso sembrano ''aliene''.
Concludo dicendo che se dovessi leggere una poesia vietnamita, sicuramente non potrei entrare a pieno nelle immagini trasmesse, ma penso (forse) che sarei cosciente di leggere una poesia.
L'importanza di leggere la biografia di un autore, prima di avvicinarsi ai sui scritti, è una cosa che si impara già a scuola, anche se noiosa.
Scusate se sono un pò fuori tema, lo sono sempre. ;D
« Ultima modifica: Venerdì 12 Marzo 2010, 16:54:35 da Corripio »

Offline Stefano Toschi

Re: Il veleno del linguaggio
« Risposta #43 il: Venerdì 12 Marzo 2010, 17:01:10 »
Ora però vorrei anche far notare come, nel linguaggio naturale, sia anche possibile introdurre nomi senza riferimento. Prima ho parlato di Biancaneve, ma possiamo anche pensare alle formule matematiche e via dicendo.

Anche se non c’è un riferimento oggettivo c’è comunque un concetto o un’idea a cui quelle espressioni fanno riferimento. D’altra parte anche nel caso della mela resta tutt’altro che certo se dietro la percezione della mela, dietro al fenomeno mela (per dirla con Kant) ci sia una “cosa in sé” e che cosa sia.
In questo senso il linguaggio, rimanendo al livello dei fenomeni e dei concetti astratti, è un porto sicuro: la chiave di lettura e di interpretazione di un flusso di esperienza di per sé magmatico.

Citazione
Per quando riguarda la poesia, sono dell'idea che un corso di logica linguistica non possa aiutare chi non è portato..

Concordo.
"Ogni certezza è nel sogno" (E. Poe)

goccia

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Re: Il veleno del linguaggio
« Risposta #44 il: Venerdì 12 Marzo 2010, 17:09:00 »
Stefano ma come fai a citare così??? a me rimane tutto azzurro ahahahahah