...allora devo dire alla redazione che non sanno riconoscere una bella poesia.
Ed impediscono a me, ed a molti qui, di leggerla. La redazione dovrebbe tutelare gli interessi
dei lettori, ed i lettori apprezzano quelle poesie.
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Un errore, un abuso.Si, siete i padroni, ok; così è così perché è così.
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Rodà,Io,Giovanni; Massimiliano ed altri, non presenti al topic, abbiamo un nostro stile. Nessun esperimento,semmai ricerca...
Questo deve fare chi scrive, cercare...e voi, impedite che questo accada,negando ai lettori un piacere
e un diritto.
Ricordati Voltaire, Luigi...Ma non ti chiedo di sforzarti così tanto...Basterebbe essere più ragionevoli,
solo questo.
Rileggi le mie poesie, visto che hai detto che non sono belle.
Magari ti sei sbagliato, ed eri tu, in quel momento a non essere bello.
Quando si ha una ventina d'anni si crede sempre di aver scoperto il mondo e cosa sia la poesia e di avere il sacro compito di farla conoscere al mondo, che ha il diritto di conoscerla e dei barbuti idioti glielo impediscono. Tu, come tutti quelli che hanno avuto una ventina d'anni prima di te.
All'epoca mia non c'era internet (comodo, eh!), ma De André si poteva sentire e vedere di persona, Bukowski era del tutto sconosciuto, ed invece di internet c'era il ciclostile. Quando avevi qualcosa da dire mettevi la matrice nella macchina da scrivere e scrivevi, poi inchiostravi il rullo e facevi partire il ciclostile stampando su fogli tutti colorati, gialli, rossi, verdi... poi spillavi e portavi tutto in giro. Sulla scalinata di lettere, a campo de fiori, a valle giulia... era tutto un succedersi di ragazzi e ragazze che distribuivano mucchietti di ciclostilati multicolori con poesie, racconti, disegni... "Ciai centolire per la carta?". L'equivalente di internet dell'epoca era la libreria Uscita di via dei Banchi Vecchi, che era un vero e proprio espositore di tutte queste pubblicazioni spontanee ed estemporanee. Se c'era qualcuno che voleva far sapere quello che scrivere, lo trovavi lì in mezzo. All'uscita si facevo arrivare la roba anche da altre città, ci trovavi cose di Milano, Bologna, Genova, Napoli... tutti mucchi spillati di ciclostilati o, se qualcuno aveva un po' di soldi, in offset, dove almeno si potevano stampare anche le foto, e chi riusciva a mettere su un gruzzolo stampava in tipografia come Re Nudo. Gli altri, sui giornali ufficiali, la chiamavano "stampa alternativa", ma chi la faceva non la chiama proprio, era solo il modo in cui ci si esprimeva.
Non te lo dico perché sono in vena di ricordi, ma perché mi fa sorridere qualcuno che sulla ventina ora mi dice che lui ascolta De André come se avesse fatto una scoperta e noi poveri ignoranti non l'abbiamo mai sentito nominare.
Oggi quel mucchio di carte colorate, cartoncini, fogli tagliati a zig zag, collage di biglietti dell'autobus, plastica fusa con l'accendino e sbavata copertina per copertina, pagine in bianco e nero colorate a mano una per una, ascoltando "la banana" (il primo album del Velvet Underground)... non ci sono più e credo che non vi sia nessuno che li abbia conservati, nemmeno per documentazione storiografica culturale. Del resto erano quello che erano, erano da consumare, da usare, non da conservare. Ma in effetti si, erano veramente "alternativi", fatti sudandoli, rinunciando ai soldi per la pizzetta e fatti di scarpinate e "diffusione" al gelo per farli leggere, anzi usare.
Ora l'espressione "alternativa" non c'è più. Ora è tutto integrato nello stesso canale ufficiale, tutto su internet insieme al Corriere della Sera ed al New York Times. E tutto dura per sempre. Non c'è più quel senso di "bruciare" quello che scrivi disperdendolo nel mille rivoli che prendeva e quindi perderlo, dimenticato anche da chi l'aveva scritto. Ora tutto è subito pubblico ed è per sempre.
Quindi figurati se non capisco la tua frenesia di esprimerti. Ma devi capire che non solo ci sono passato anche io, ma ho visto passarci altre generazioni, come quella degli anni '70, e quella degli '80, quella (per citare l'epoca) di Pazienza, c'ho lavorato insieme, che si esprimeva sia scrivendo che disegnando, quando dai ciclostili eravamo passati alla stampa, avevamo dei finanziatori e potevamo fare mensili e settimanali veri, con tanto di copertina a colori e vendita nelle edicole, girava fumo e di più, ma già allora dovevamo discutere con ventenni che dicevano che quello che scrivevano (e non solo noi l'avevamo già letto, ma prima ancora scritto) era ricerca e che la poesia (o la satira, o il disegno...) era qualunque cosa si scrivesse (o si disegnasse) e come ci permettevamo di giudicare e che eravamo incompetenti e prepotenti e facevamo uno sbaglio e impedivamo al mondo di... ti ricorda qualcosa di familiare?
Il mondo gira, tutto passa e si ripete e si pensa sempre di scoprire per primi qualcosa di nuovo. Quello nuovo è veramente poco e quando c'è ha veramente valore. E se giudico qualcosa non è perché sono un saccente idiota, ma perché ne ho letti mille e mille uguali, e certo non mi spavento per delle parole un po' spinte se ne ho scritte e lette di tutti i colori.
Dici "mi piacerebbe sapere che poesie hai letto in vita tua, o leggere quelle che scrivi tu...", ma non ti posso far leggere nulla perché grazie al cielo è tutto perso, andato, lasciato andare, carta macerata dal tempo. E forse le cose più belle che ho letto e che mi hanno colpito di più sono proprio quelle perse, o mi sembrano le più belle perché sono perse.