Angelo, non so cosa tu intenda per versione in prosa.
Non certo eliminare semplicemente i capoversi, se così facendo si ottenesse direttamente un testo in prosa, beh... secondo la mia "teoria", si potrebbe dire che anche il testo originale era in prosa.
Per versione in prosa io intendo ristabilire l'ordine sintattico (soggetto-verbo-complemento), sostituire parole di uso manifestamente poetico con sinonimi più comuni, risolvere strutture particolarmente elaborate in una forma più piana mantenendone il significato. Eliminare, insomma, quegli artifici retorici di cui, certamente, anche chi scrive in prosa può servirsi, ma che darebbero vita ad una prosa elaborata. Noi, invece, vogliamo ottenere una prosa semplice e lineare.
Allora "L'infinito" potrebbe suonare più o meno così:
Questo colle solitario e questa siepe, che impedisce gran parte della vista sull’ultimo orizzonte, mi furono sempre cari. Ma quando mi siedo e guardo, io mi immagino nel pensiero, al di là da quella siepe, spazzi senza fine, silenzi sovrumani e una quiete profondissima; dove, per poco, il cuore non è preso dalla paura. E quel silenzio infinito, io lo paragono alla voce del vento che sento stormire tra queste piante: e mi ritornano in mente l’eternità, le stagioni passate, quella presente e viva, il suo suono. Così il mio pensiero si annega in questa immensità: e mi è dolce naufragare in questo mare.
E la si sarebbe potuta rendere anche più prosastica, ad esempio esplicitando ulteriormente alcune immagini. Ma così già basta per rendersi conto che non è affatto la stessa cosa che leggere "L'infinito" di Leopardi.
Naturalmente non pretendo affatto che il metodo del confronto tra un "aspirante" testo poetico e la sua versione in prosa sia infallibile per determinare se si tratti effettivamente di poesia; tanto più che per certe poesie contemporanee sarebbe assai arduo, se non impossibile, farne una versione in prosa.
Ma almeno da Dante fino a Pascoli, credo proprio che tra testo poetico e sua versione in prosa ci sia una bella differenza.