Ma certo, Marco, scrivete i vostri versi come volete. Ma lasciateci anche commentare come ci pare (o altrimenti togliete la possibilità di scrivere commenti alle vostre poesie).
Ritorno sulla questione del “tu”.
Dopo l’ultimo intervento di Francesca si deve supporre che il “tu” sia il lettore, il mondo del quale si parla nel testo pare, infatti, essere quello della scrittura.
La mia prima interpretazione ipotizzava una chiave di lettura più genericamente esistenziale.
Ripensandoci, la poesia potrebbe anche essere letta ipotizzando, come situazione sottostante, un rapporto sentimentale (io-tu) in crisi.
Anche l’interpretazione di Fallin che tenta di rimanere più aderente alla lettera e alla sua sintassi, vedendo in trasparenza alle parole precise situazioni o eventi, ha la sua ragion d’essere, per quanto la loro individuazione risulti assai problematica.
D’altra parte l’ermeticità del testo non permette di prendere un indirizzo preciso, ed è questo il suo pregio e il suo difetto.
La mia interpretazione suppone un procedimento di composizione simile al sogno: con l’accostamento di elementi di diversa provenienza, spostamenti di significato e sostituzioni simboliche. Sebbene il processo, in questo caso, sia cosciente e studiato, frutto cioè di un lavoro poetico, e gli elementi accostati, più di quanto avvenga nei sogni, oltre che immagini siano parole con il loro ulteriore carico di ambiguità semantica; tuttavia, come per i sogni, i nessi logici possono essere solo ricostruiti da un lavoro di analisi, perché il linguaggio utilizzato ne è, per sua natura, privo, procedendo piuttosto per accostamenti apparentemente incoerenti.
Il livello di decomposizione del significato in questo testo, come nella maggior parte di quelli di Francesca, è molto spinto, più che in un sogno, forse troppo, almeno per i miei gusti.
Le sue poesie assomigliano ad un quadro astratto, sono capaci di evocare emozioni nel lettore, ma risultano difficili da leggere e ancora di più da comprendere.
A mio avviso una ricomposizione, anche “artefatta” (nel senso di fatta ad arte), degli elementi secondo un filo semanticamente più coerente gioverebbe. Intendo dire che possa emergere immediatamente alla lettura un significato, anche solo apparente, anche non logico, anche assurdo, piuttosto che una glaciale assenza di significato.
Ma forse invece è questa la forza di Francesca, di saper trasmettere un’emozione al netto di qualsiasi razionalizzazione da parte del lettore.
Quanti riescono ad apprezzare, però? Io stesso sono un po’ a disagio.