Il fuoco d'un ventare
Il fuoco d'un ventare rapinoso
la foglia nel suo sibilo tramuta,
la scerpa, ella volteggia, cade, muta,
tra nembi d'altre foglie, al suolo erboso.
Così la vita a noi: senza riposo,
ci lacera, ci spezza, in altro muta
quella felicità non mai goduta.
E un brivido mi coglie e fa pensoso:
chissà, se, nell'estremo mutamento,
la gioia, sempre persa ed inseguita,
non venga proprio allora a noi donata,
quando, cantando il suo supremo accento,
la voce ultima di nostra vita,
all'universo tutto sia intonata?
Valerio Vergoni
Propongo alla lettura del forum questo bel sonetto di Valerio Vergoni.
Si tratta di una riflessione sulla vita e sulla morte, sulla felicità sempre inseguita e mai pienamente goduta.
La prima quartina è fortemente tragica: il soffiare “rapinoso” del vento che strappa la foglia dal ramo e la tramuta in sé, nel suo sibilo sinistro, come fa il fuoco, agente per eccellenza della trasmutazione e della consumazione, il suo volteggiare abbandonata, il cadere, muta, al suolo tra nugoli di altre foglie, suggeriscono un’immagine classica, ma particolarmente vivida, della morte.
Nella seconda quartina, però, questa immagine viene assimilata alla vita: “Così la vita a noi”, che assume, dunque, la connotazione di una corsa verso la morte, di un continuo lacerante mutare senza requie, di un incessante divenire nel quale la felicità cercata sempre sfugge.
L’ultimo verso della quartina introduce la lunga interrogativa che copre le due terzine conclusive.
In forma di domanda l’autore esprime la speranza che quella gioia perfetta, impossibile da raggiungere nel corso della vita, possa essere “donata” nell’ “estremo mutamento”, nella morte vista come supremo compimento, come intonazione al Tutto: un definitivo abbandono, la caduta di ogni resistenza, come la foglia dell’immagine iniziale che staccatasi dal ramo diviene una cosa sola con il vento.
(continua)