In accordo con l’autore che privatamente mi aveva chiesto consiglio, ho deciso di postare una sua poesia, in modo da poterne discutere con chi sarà interessato ad un confronto critico e onesto.
Di solitudine
Ma cosa sto facendo?
Quanto tempo sprecato
Nel limbo del nulla
a bruciar momenti
galleggio ed affondo
tra spiriti densi e vapori cubani
saetta brillante il nero schermo
di titoli e finali astutamente privo
mi spinge silente
mi spinge ancora
di inutili prose nel vuoto affollato
Mi accosto penoso al primo davanzale
Timido fremo
per uno soffio di pace
volgo lo sguardo...
ed è sempre tramonto
leggendo questo scritto sono stata assalita dalla solitudine, ma anche dall’angoscia dello scorrere del tempo senza che noi possiamo vivercelo a pieno. Mi ha fatto pensare anche a quei momenti in cui vorremmo scrivere, rendere fisici, solidi, i nostri sentimenti, le nostre emozioni, ma pur scavando dentro di noi, ci ritroviamo ancora vuoti, non ne caviamo una briciola di niente. È così che le nostre parole ci sembrano inconsistenti, confuse, insensate.
Vedo quest’uomo, un bicchiere di brandy sulla scrivania e un cubano tra le dita, mentre cerca di srotolare i pensieri, di farseli uscire dalla testa per concretizzarli in parole, ma che si tormenta non riuscendoci. Allora si alza, e va al davanzale… guarda fuori: “è sempre tramonto”. In questa frase è il nocciolo intero della poesia, a mio parere.
“sempre” è statico, nulla cambia, ma in questo caso non è il tempo fisico, bensì quello interiore dell’autore. “tramonto” il momento più malinconico della giornata che finisce, il sole che muore, le speranze di fare qualcosa sparite.
Voglio far notare come alla prima lettura io non abbia letto “tramonto” ma “tormento”, probabilmente per assonanza (oltre che per mia –pardon- distrazione) che comunque non stava male, perché descriveva l’incessante logorio dell’anima.