crostata di mele, naturalmente!
ma tu quella bella pasta per il pranzo potevi prepararla!!!!
la cosa meravigliosamente strana di questo testo è che più lo rileggo e più mi confondo. di primo impatto una marea di emozioni mi ha pervaso, probabilmente mi ero ancorata solo alle immagini, ora, dopo molte letture e dopo aver ascoltato le varie interpretazioni, ritrovo che alcuni passi possano essere interpretati in molti, moltissimi modi.
Avvelena lo spazio complesso, le direzioni
quel grido infantile (ognuno lo sente
forse cento volte, partendo e restando
coi silenziosi affissi oculari). E il bambino è uno,
sessile e primevo, dalle acque.
...
Pochi si accorgono
di portare cattedrali sulla schiena
- dacché è nato, dacché
egli è nato…
perchè l'urlo del bambino avvelena lo spazio "complesso" ad esempio? e cosa intende l'autore con tale aggettivo?
chi è quel bambino, cosa rappresenta? sembra arrivato a distruggere la pacatezza cieca dell'uomo, a portare scompigio e dalla sua nascita ognuno si è caricato inconsapevolmente di un peso, di una zavorra.
sembra la profezia avverata di un avvento, una profezia di caos, di morte che l'uomo percepisce, senza vedere davvero. penso anche io, infatti, che gli affissi siano come schermi tra la percezione e la consapevolezza. i manifesti pubblicitari, ad esempio, contengono spesso messaggi subliminali che raggiungono in nostro inconscio senza palesarsi.
Un vento (foriero della fine) urla come un bambino appena nato invadendo ogni spazio e ogni direzione. tutti lo sentiamo, sempre, come una voce intima ma molesta.
La strada da un lato
la chiude la macelleria, dall’altro i cifrari
del ritorno: mai che uno straccio,
qui e sui balconi, distrugga il vento.
la seconda parte è quella che mi piace di più, che mi affascina... questa strada senza via d'uscita in cui il vento continua ad urlare tra l'orrore del sangue (la guerra, la morte?) e la possibilità di evadere, criptata però, tra mille codici, nei cifrari.
che strana sensazione poi mi fanno quegli stracci appesi ai balconi, a sventolare come bandiere bianche... simulano un'arresa, nessuna via di scampo.
è per questo che l'autore chiede, nell'ultima parte, di ritornare nell'incoscienza, ottusa, ma paliativa, ristoratrice.
Tu lasciami la sensorietà ottusa
del sonno anche nei quadrivi meridiani
che ancora
l’ombra – l’ora – visitano
e stancamente
gli spettri amicali dall’infanzia
questa ultima parte mi riporta ad un paesaggio afoso, estivo e torrido, una città semideserta di strade fatte tutte perpendicolari e parallele tra loro (quadrivi meridiani) dove però, a seconda dell'ora, l'ombra che porta ristoro arriva.
e anche i ricordi, seppur spettrali, diventano amici perchè ci riportano a quell'ingenuità infantile che l'uomo perde crescendo.
uhhhh!!! ho bisogno di bere!!!