cara Chiara, hai portato bene l'esempio di Pirandello e D'Annunzio, che per me restano due massimi geni dal punto di vista artistico, ma per i quali nutro molto meno stima dal punto di vista umano... parrebbe infatti possibilissimo scindere la vita concreta dal proprio percorso letterario e artistico in generale, come ciò sia possibile io non saprei dirtelo, ma forse fa parte di quel processo di "finzione" del quale si parla.
ognuno di noi ha -evidentemente- una personalità complessa, talmente tanto complessa che è possibile individuarne molteplici all'interno di una sola. la nostra anima ha tante sfaccettature e a seconda del punto di vista di chi ci guarda, delle circostanze che ci si presentano, dell'umore della giornata, ne mostriamo una oppure un insieme di esse, tanto che è difficile separarle ed individuarle con precisione.
se ci riusciamo, però, possiamo addirittura giocarci e sfruttarle, facendone prevalere una al posto di un'altra, questa volta non a livello inconscio, ma volontario. questo è quello che anche Pessoa ha fatto (vedi lettera - grazie Alessio per avercela linkata), quando si è creato, o meglio, quando ha dato un nome alle sue tre identità poetiche.
qual è l'uso che si fa di questa capacità: resta confinata all'ambito poetico? si fa uno scherzo ad un amico? si reprime la parte di noi che non ci piace? bhe, anche questo potrebbe essere positivo, infondo, se servisse per migliorarsi non solo agli occhi altrui, ma anche e soprattutto intimamente!
in ambito strettamente poetico, il problema è del lettore che interpreta, che idealizza l'artista, credendo che la bellezza delle sue opere, frutto di "illuminazione", possa combaciare con la bellezza della sua anima, della sua integrità morale, delle sue azioni nella vita quotidiana. ed è per questo che è importante scindere arte e vita, senza pensare che una persona che scriva d'amore sia necessariamente innamorata, o una che scrive cose tristi sia per forza sempre triste, ecc ecc.
altro punto che trovo interessante è quello riportato da Marina: rimanere incastrati nella maschera del poeta, quello che trova soddisfazione anche nelle sciagure perchè gli portano ispirazione, quello che resta impigliato nelle parole -vittima e carnefice di se stesso- e dimentica che l'uomo è fatto di spirito, ma anche di carne e che è votato al pensiero, sì, ma anche all'azione.
è un rischio che il poeta corre, nel suo egocentrismo e nel suo egoismo, dove la finzione non è più letteraria, ma diventa inganno.