Quest’anno si celebra il centenario della nascita del movimento futurista. Potrebbe essere interessante nel forum di un sito di poesia come questo, rivisitare il Futurismo da un punto di vista poetico e rileggere qualche poesia futurista (forse anche provare a cimentarsi in qualche creazione neo-futurista aprendo un apposito topic nella sezione Poesie Sperimentali).
Quello tra la fine del XIX a l’inizio del XX secolo si contraddistingue come un periodo di crisi culturale, sociale e psicologica (una crisi dalla quale, probabilmente, non siamo ancora usciti). L’ottimismo positivista nel progresso tecnico-scientifico è ormai declinante e si fanno strada tendenze irrazionaliste: da un lato l’angoscia esistenziale, il senso dell’alienazione dal mondo, l’impossibilità di vivere; dall’altro il rifugiarsi in un edonismo estetizzante o in un attivismo superomistico.
Una risposta a questo senso di “decadenza” (ma anche un’espressione di questa), il tentativo di fondare la civiltà e la cultura su basi nuove, furono le avanguardie artistiche del primo ‘900.
In Italia questa tendenza si espresse principalmente ed in maniera originale nel Futurismo il cui programma, espresso dal “Manifesto” pubblicato da Martinetti nel febbraio del 1909, intende superare il vecchiume della cultura “passatista” attraverso un’esaltazione della tecnologia, delle macchine, della velocità, non però in chiave razionalista e “progressista”, come il vecchio positivismo, ma in chiave irrazionale, emozionale, elitaria, violenta.
Il Manifesto del Futurismo (
http://it.wikipedia.org/wiki/Futurismo_(letteratura)) è già di per sé una dichiarazione di poetica. Nei suoi scritti successivi, però, le direttive si fanno tecnicamente più circostanziate.
“Distruggere la sintassi, disponendo i sostantivi a caso, come nascono”. Usare il verbo all’infinito, abolire l’aggettivo, la congiunzione, la punteggiatura.
Uso spinto dell’analogia, “immaginazione senza fili”, espressione del movimento attraverso una serie di analogie condensate in parole essenziali, soppressione del primo termine di ogni analogia per lasciare solo il secondo.
Soppressione dell’io: “sostituire la psicologia dell’uomo, ormai esaurita, con l’ossessione lirica della materia”.
In conclusione con le parole stesse di Martinetti:
“Ci gridano: «La vostra letteratura non sarà bella! Non avremo più la sinfonia verbale, dagli armoniosi dondolii, e dalle cadenze tranquillizzanti!». Ciò è bene inteso! E che fortuna! Noi utilizziamo, invece, tutti i suoni brutali, tutti i gridi espressivi della vita violenta che ci circonda. Facciamo coraggiosamente il «brutto» in letteratura, e uccidiamo dovunque la solennità. Via! non prendete di queste arie da grandi sacerdoti, nell'ascoltarmi! Bisogna sputare ogni giorno sull'Altare dell'Arte! Noi entriamo nei domini sconfinati della libera intuizione. Dopo il verso libero, ecco finalmente le parole in libertà!”