voglio mettere alla vostra attenzione una mia poesia che a parere di mia madre, la mia prima critica letteraria, fa proprio schifo, ma è così brutta? Voi che mi dite?
Dico soltanto che le poesie, anche le più ermetiche, non possono prescindere dall'unitarietà del discorso e dal significato; mi spiego.
Se nell'incipit fa capolino una tesi, sembra logico attendersi che il corpo della poesia la sviluppi o la contrasti fino ai versi conclusivi nei quali si sviluppano, di solito le considerazioni dell'autore sul tema affrontato. Qui si enuncia l'insopportabilità della cultura (
quale cultura?) e si prosegue con una riflessione leopardiana sul nascere piangendo, passando per l'ineluttabilità del destino di solito tragico per giungere alla negazione della libertà determinata, credo di capire, proprio dalla presenza del destino che impedisce all'omo di sviluppare autonomamente e liberamente le proprie aspirazioni. Il tutto è appesantito da versi che tali non sono e da figure retoriche che, appena abbozzate si immiseriscono nella prosaicità e nelle ripetizioni di aggettivi roboanti. L'enunciato non viene sviluppato e non si giunge a una conclusione coerente. Mi spiace dirlo ma il testo non sta in piedi. Il corpo non
c'azzecca con la testa.
Eppure, come non hanno mancato di segnalare i precedenti commentatori, nel testo c'è del buono. Non solo, alcuni degli argomenti sfiorati, trattati singolarmente fuori contesto potrebbero diventare buone poesie.
Ad esempio, tanto per discuterne ancora:
CULTURA
Il peso di questa cultura
trafigge le nostre cervella
e ci ruba il futuro.
IL PRIMO RESPIRO
Nessuno conserva di suo
il ricordo del primo respiro.
Se solo potesse, potrebbe capire
il senso di ogni esistenza:
nasciamo piangendo.
VITA
Mistero irrisolto, la vita,
continua diversa per ogni persona
fluisce più o meno veloce
e perde innocenza e ricordi
(chi potrebbe, del resto,
scandire i suoi passi
o pretendere soste?)
Subiamo la vita e la morte
arresi al destino, o, talvolta
proviamo a distinguer nel fato
i tratti decisi da noi.