Ti scrivo qualche riflessione che questi tuoi versi mi hanno suggerito.
Non direi affatto che la tua poesia non trasmetta sentimenti o emozioni; direi, invece, che è fortemente evocativa, ma, anche in questo senso… “monocroma”, come tu stessa affermi.
Questo unico colore è il nero funereo della morte. Il lessico è decisamente orientato in questa direzione: “notte”, “lugubre sipario”, “smorza”, “anima”, “muta discesa”, “commiato”.
La stessa scelta di versi brevi e brevissimi, in questo contesto, pare riecheggiare il rintocco delle campane che suonano a morto.
Naturalmente la poesia può riferirsi ad un altro evento accostabile analogicamente alla morte, ma si tratta comunque di un estremo “addio”, definitivo, disperato, uno svanire per sempre nell’oblio, l’incamminarsi giù per una “gola” che, oltre ad essere il luogo “della muta discesa” in cui il “grido” si “smorza”, richiama alla mente l’inferno dantesco.
Anche il “vessillo monocromo”, contrariamente a Marina, lo leggo come un equivalente del “lugubre sipario”: è il fondo nero della notte, simbolo della morte.
In questo contesto l’unica macchia chiara è quella del “palmo” di una mano tesa verso l’alto, ultima disperata traccia dell’essere che sprofonda nel nulla; ma anche questo chiarore che si staglia sull’oscurità circostante è un bianco cadaverico.
Il tutto potrebbe leggersi anche come una riflessione sulla vita, intesa come una lunga discesa verso l’annientamento: un vivere per la morte.
Il testo ha i toni emotivamente tragici di un quadro espressionista e, secondo me, lo si può considerare un “esperimento” piuttosto ben riuscito.