Da “Il passaggio di Enea”, 1956.
Alba
Amore mio, nei vapori d’un bar
all’alba, amore mio che inverno
lungo e che brivido attenderti! Qua
dove il marmo nel sangue è gelo, e sa
di rifresco anche l’occhio, ora nell’ermo
rumore oltre la brina io quale tram
odo, che apre e richiude in eterno
le deserte sue porte?… Amore, io ho fermo
il polso: e se il bicchiere entro il fragore
sottile ha un tremitìo tra i denti, è forse
di tali ruote un’eco. Ma tu, amore,
non dirmi, ora che in vece tua già il sole
sgorga, non dirmi che da quelle porte
qui, col tuo passo, già attendo la morte.
Con uno spregiudicato uso di sinalefe e dialefe i versi sono tutti riconducibili all’endecasillabo, le rime sono spesso sostituite da assonanze così abbiamo il seguente schema ABAA BABB CDC CDD dove C e D sono a loro volta assonanti (c’è una iunctura fonica anche con B, una sorta di assonanza inversa) ma la parte consonate è rispettivamente di una e due lettere.
L’uso spinto dell’enjambement rompe notevolmente la corrispondenza tra verso e sviluppo sintattico della frase così che le assonanze e le rime sembrano quasi scomparire e servono solo a dare un certo ritmo interno al testo.
Il linguaggio, assolutamente moderno e popolare, con solo qualche reminiscenza aulica, è in perfetta sintonia con la situazione descritta: l’attesa della donna amata, una mattina prima dell’alba, appoggiato a freddo marmo di un bar di città, dove l’aprirsi ed il chiudersi della porte di un tram sembra scandire il trascorrere del tempo, e l’attesa dell’amata, che sembra non arrivare mai, finisce col trasfigurarsi in quella ineludibile della morte.
Domani leggeremo un sonetto di Andrea Zanzotto.