Anche io ritengo di aver qualcosa in comune con Giacomo Leopardi. Egli visse una vita molto triste, segnata dalle delusioni d'amore e dai difficili rapporti con i familiari. Tuttavia nella sua poesia, secondo me, alcune volte riesce a ''liberarsi'', a ''far volare il suo cuore senza la pesantezza del quotidiano'' (Terzani), o a dare alle sue poesie un pizzico di nostalgia che commuove, una nostalgia della gioventù, che egli perse con il suo <<studio matto e disperatissimo>> in cui si procurò una vasta cultura ma che lo portò a incurvarsi e a, in seguito, diventare cieco. Fu emarginato dalla società felice, iniziò a separarsi dai suoi cari e dal cristianesimo, per raggiungere il suo pessimismo.
E' un esempio come poeta, forse pure come filosofo, ma non è da prendere in considerazione per come si apprestò a vivere la vita. Ogni cosa ha il suo tempo, dice il saggio. Con la sua fretta di imparare e di diventare ''grande'', Leopardi saltò tutta la gioventù. E nelle sue poesie esce fuori la nostalgia verso questa bellissima fascia di vita da lui saltata.
'''Garzoncello scherzoso, cotesta età fiorita è come un giorno d'allegrezza pieno, giorno chiaro, sereno, che precorre alla festa di tua vita''
'Godi fanciullo mio, stato soave, che stagion lieta è cotesta, altro dirti non vò, ma la festa c'anco tardi a venir non ti sia grave''.
Giacomo leopardi, Il sabato del villaggio.