Grazie ad Elisabetta ed Angelo per avermi fatto conoscere questa stupenda poesia che mi ero persa!
Oserei dire che essa racchiude molto della poetica della autrice.
La sua spiritualità sempre attenta alle cose terrene sia nel dolore che nella sofferenza, dove qui è esplicitato il ricorrere alla madre del Cristo come figura rigenerante, consolatrice come solo una madre può essere, in tutte le peripezie che la vita ci procura. La vita spirituale che viene ritrovata in tutto il reale (anche il sangue è una rosa, vivo, anzi il fiore passionale per eccellenza, un dono d'amore offerto).
E la donna di Benedetta, è una donna affaticata dal giornaliero (stupende immagini metaforiche i suoi profumi) ma viva ed attenta ai sentimenti ed alle emozioni. Ovvero come la spiritualità e la carne sono estremamente legate tra loro, ("tenerezza della carne" dove tenerezza assume un duplice significato associato sia all'essere "teneri" con qualcuno, sia alla sua dolcezza nella carnalità che "colorano di vita").
Ma in qualsiasi sfaccettatura dell'individuo '"Uomo", la poetessa riconosce dalla sofferenza "abisso" l'unica via d'uscita: affidarsi alla preghiera che tutto lenisce e ci mostra la "luce".
In questa poesia c'è un pensiero che fluisce libero da schemi, che si evolve e cambia con il trascorrere della storia, si scambiano i personaggi, ci si trasforma.
Nell'inizio della poesia è chiaramente come una bambina che si affida al grembo materno, poi diventa essa stessa figura di madre, riconoscendo il dolore del parto. E forse anche si riconosce nella figura materna che vede un figlio soffrire, facendosi quasi confidente di Maria ed assumendone essa stessa il ruolo ("lo sai mammina" come per dire ad una amica... io lo so', ti capisco, ci sono passata).
Davvero una poesia che soddisfa anche l'aspetto visivo con delle splendide descrizioni particolareggiate come ha còlto e ben descritto Angelosilv... sì, anche a me è sembrato di riconoscerne la descrizione della pietà di Michelangelo.