Autore Topic: "Venturo soffrire" di Vondur  (Letto 909 volte)

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Cls-classic

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"Venturo soffrire" di Vondur
« il: Lunedì 14 Gennaio 2008, 19:10:57 »
Vorrei sottoporre alla vostra attenzione la mia lettura di una composizione di Vondur, intitolata Venturo soffrire.

Non tornano le ombre
che cullavano piano,
tra fuochi e magoni
sopra quel violino.

La carta, solo una scusa
per voler alleggerire
il peso di quel male,
colto in poche righe.

Un lontano veliero
su mari agitati,
le gocce salate
da sorrisi forzati.

Quei pensieri affogavano
nel mare d'illusione,
così vivi e maledetti
profumavano di stupore.

Anche il senso
ha reso saggio il dolore,
quando il tempo
ha smesso di contare.

Sospettare era impossibile
ciò che oggi dico,
soffro della nostalgia
di quell'oscuro nemico.

Dapprima diamo uno sguardo generale alla composizione. Vondur ha scelto un "disordine ordinato": il ritmo recita una sua certa cadenza che però s'incespica studiatamente, come una dama che fingendo un difetto nell'incedere ne accentui il fascino, o perlomeno vi attiri l'attenzione. Nel flusso compatto dei versi si distinguono rime alternate nei versi pari. Quartine di ballata, forse?... In ogni caso, quartine che - non me ne voglia l'autore - mi sono preso la libertà di evidenziare con le righe bianche. Ed è proprio a partire da questa divisione strofica che vorrei far muovere la mia analisi.

Primo blocco  (o "della nostalgia")

Non tornano le ombre
che cullavano piano,
tra fuochi e magoni
sopra quel violino.

La carta, solo una scusa
per voler alleggerire
il peso di quel male,
colto in poche righe.

Dalla prima quartina emerge, prosperosa, la sagoma femminea di un violino, i cui fianchi possono ospitare e generare (non a caso ho scelto un verbo tipicamente muliebre) fuochi, talora sensuali talaltra nefasti (magoni). Il colore ligneo e brillante dello strumento, di cui il poeta non parla, brilla per contrasto alle ombre che cullano e, pure, delle quali si ha nostalgia. Sarà forse la nostalgia quel male in cui il poeta ama crogiolarsi e che - solo pretestuosamente - funge da alimento alle sue poche righe (poche forse anche per importanza, per necessità, per efficacia in seno al male che del mondo fa la sua culla).

Cls-classic

  • Visitatore
"Venturo soffrire" di Vondur (2°parte)
« Risposta #1 il: Lunedì 14 Gennaio 2008, 19:12:38 »
Secondo blocco (o "dei naufragi")

Un lontano veliero
su mari agitati,
le gocce salate
da sorrisi forzati.

Quei pensieri affogavano
nel mare d'illusione,
così vivi e maledetti
profumavano di stupore.

La terza quartina, che commista con straordinaria efficacia l'ipocrisia e la solitudine di certi risi (sorrisi forzati) e pianti (gocce salate) con la metafora del mare, nell'icasticità delle sue immagini riesce a fare a meno di un predicato verbale. Ma la nostalgia non è solo rimpianto, dolore sordo: è tumulto interiore, disillusione rabbiosa. Ed ecco che il mare ora impersona l'anima del poeta, che è naufrago ed oceano ad un tempo - quale peggiore annegamento di quello in se stessi? - ; e il dolore è acuito, inasprito dallo stupore, sadico contrappasso, che resta intatto come il sale sulla piaga.

Terzo blocco (o "della rivelazione")

Anche il senso
ha reso saggio il dolore,
quando il tempo
ha smesso di contare.

Sospettare era impossibile
ciò che oggi dico,
soffro della nostalgia
di quell'oscuro nemico.

Qui l'autore scopre le carte negli ultimi due versi: "soffro della nostalgia / di quell'oscuro nemico": un tono palmare, genuino, persino bimbo, nel senso. Una chiarezza che può infastidire chi sia troppo imbevuto di letteratura: ma del resto anche Saba s'incantò alla rima "fiore / amore, / la più antica difficile del mondo". Il poeta vive questa nostalgia con lo stupore piagante di cui sopra, come una rivelazione a se stesso (sospettare era impossibile), prima che al lettore; rivelazione che gli muove la mano (o meglio che "gli ha mosso la mano", dal momento che quanto sto per segnalare avviene alla penultima quartina) ad un tono oracolare, tremendamente affascinante soprattutto in contrarso con il tono "bimbo" che segue. L'immagine del senso che rende saggio il dolore, anzichè l'inverso, e soprattutto il gelo immobile del tempo, sono l'anamnesi completa della malattia nostalgica, capace di ingurgitare il flusso dei secondi abbrutiti e strascicati ad ore, oltrechè il flusso dei pensieri abbarbicati al marcio di un ricordo, alle spine infette di un non meglio identificabile dolore.

Questo, a mio modo di vedere, è il pensiero di Vondur. E secondo voi?

Offline Marina Como

Re: "Venturo soffrire" di Vondur
« Risposta #2 il: Mercoledì 16 Gennaio 2008, 15:24:16 »
Una grande interpretazione che ci offre Luca, che denota sensibilità ed anche capacità di spiegare il testo ed il linguaggio. Grazie.
Io penso che il fulcro della poesia sia certamente la malinconia per un qualcosa che si è perso, ma lo interpreto come il senso dello "stupore" che il poeta pone giustamente al centro della poesia. Quello stupore che permetteva al poeta di crogiolarsi, cullarsi, nelle sue "disillusioni", che invece ora non esiste più. La crescita, che porta al "senso" del dolore, al suo quasi aspettarlo, la saggezza del sapere che potrà venire, non ce ne fanno più motivo di stupore, di rabbia, come giustamente riporta Luca. Ed è proprio la rabbia, la sofferenza che permettevano di creare l'arte, di suonare il violino, quelle "ombre" dell'animo per cui il poeta scrive, il musicista suona.
Trovo molto ben fatto il linguaggio che nella terza quartina cambia anche scandendo il ritmo con l'uso delle rime, offrendo quasi una elencazione dei tipi di dolore, e le rime tornano, creando un rimando, nella chiusa.
Se voglio fare la stronza ci riesco bene.  Talmente bene che quasi quasi ci sono. O forse ci sono.  Si, deciso.