SEGUE
Va tenuto altresì in considerazione che il giapponese è una lingua ideografica dove ogni parola è, per così dire, dipinta e già costituisce un simbolo, non ha numeri, generi, né declinazioni, che vengono desunti dal contesto. E' inoltre una lingua molto ricca di omofoni, che offrono infinite possibilità di assonanze ed è una lingua che in poesia non usa la rima.
Da qui le grandi difficoltà che tutti i traduttori hanno dovuto affrontare nella interpretazione di un haiku dalla lingua madre alla nostra. Conseguentemente non sempre la regola 5-7-5 nella traduzione ha potuto essere rispettata ecco perché, nel presentarVi le opere dei differenti autori, abbiamo voluto fornirvi la versione giapponese traslitterata oltre alla traduzione italiana reperita nelle varie fonti della nostra ricerca.
Come fa notare Sono Uchida (Presidente dell’Associazione Internazionale per lo haiku), nel suo testo "haiku":
' ' ... L’italiano sembra molto adatto per gli haiku, perché la quantità di sillabe presente in ogni parola è equivalente al giapponese, così che il volume di informazioni che si può includere in 5-7-5 sillabe è quasi uguale nelle due lingue...' '.
Sempre secondo Uchida: ' ' ... "ya" può essere reso efficacemente sia con la virgola che con il trattino, mentre per "kana" e "keri" può bastare il punto...' '.
Quanto detto finora riguarda la "costruzione strutturale" dello haiku, ma la cosa più importante è "cambiare il nostro modo d’essere, il nostro rapporto con il mondo e con noi stessi. Mirando all’essenzialità lo haiku può apparire di facile stesura in quanto immediato, ma non è così.
Come abbiamo detto nella nota introduttiva lo haiku è un "punto d’arrivo" e non "di partenza". Non è un esercizio intellettuale o una mera esibizione di bravura stilistica. Lo haiku è molto di più.
In esso non esistono più soggetto né oggetto. La poesia fa largo al vuoto, dunque, vuoto oggettivo e vuoto soggettivo. E le porte del vuoto vengono aperte dai concetti di:
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