Vi sembrera' banale, ma io dopo aver provato molte volte a" fabbricarmi " dei momenti felici
collezionando una bella sfilza di delusioni (perche' come ben diceva Danilo ogni volta che
arrivi a tiro, l'obiettivo si sposta sempre più avanti) sono arrivato alla conclusione
che si possa essere "felici" nel gustare i "traguardi" raggiunti, nel godere di quello che
si ha. Beninteso, senza voler fare una battaglia di retroguardia alla stregua della volpe che
non puo' prender l'uva perche' troppo in alto...no no. Questo non vuol dire rinunciare a migliorarsi ma a prendere coscienza del proprio limite entro il quale, tuttavia, ti puoi sentire appagato in pieno apprezzando cio che hai fatto di buono. Se corro dietro a mete che "forse" rappresentano la potenziale felicita' rischio (e fedro ci aiuta ancora) di far la fine della rana. A me l'estrazione cristiana e' venuta un po' in aiuto, non si tratta di rinunciare,
ma ho ritenuto opportuno provarci : il libretto delle istruzioni della felicita' sta nel "discorso della montagna" Beati i miti...Beati i... Dove beati sta per "felici in pieno"
Avete mai provato a chiamare col suo nome la sensazione che si prova nel regalare qualcosa a cui teniamo a qualcuno che non potra' mai restituircela? Nell'amare incondizionatamente c'e' la felicita' oppure bisogna chiamarla in altro modo?
La felicità la si trova anche nel viver bene,in allegria una giornata !
Voi che ne pensate?
Chiedo scusa per l'intromissione. dani