Dai greci Archiloco, Ipponatte e Aristofane, ai latini Ennio , Lucilio, Varrone, Orazio, Persio, Giovenale e Petronio, ai rinascimentali Ariosto, Folengo e Rabelais, al seicentesco Boileau, a Parini, a Leopardi, al Porta, al Belli, a Brecht, a Ionesco, a Montale, a Dario Fo... (la piccola e vecchia "Enciclopedia della letteratura Garzanti" m'è venuta in soccorso... )
Nel mondo occidentale si è sempre fatta satira, e "Scrivere" le ha giustamente riservato una sezione (da me abbastanza frequentata) per le nostre poesie.
E la satira ha sempre sbeffeggiato i potenti di turno, cercando di illuminare in modo divertente il popolo, anche basso (ecco un perché della sua non infrequente grossolanità) , e di far ravvedere, possibilmente, gli stessi potenti. Talvolta è stata tardiva, timida e spiazzata, ottenendo scarsi risultati (il film "Il grande dittatore" di Chaplin sfiorò vagamente il nazismo, e "Nerone" di Petrolini alludeva, per la gente poco smaliziata, troppo lontanamente a Mussolini) .
La buona satira dovrebbe sempre vestire i panni di quel famoso bambino incapace di falsare la verità, di non dire che il re è vestito quando è nudo...
E i potenti, se intelligenti, accolgono volentieri le frecciatine contro di loro, perché sanno che, in fin dei conti, esse possono aumentare la loro popolarità (i vecchi democristiani si offendevano se Alighiero Noschese non li prendeva in giro; e poi, nei secoli passati, la Chiesa faceva durare anche mesi il Carnevale, consentendo praticamente ogni sberleffo... )
Nelle società ben funzionanti, la satira serve da contrappeso al potere di chi comanda: se esso non fosse controbilanciato, rischierebbe di diventare quasi assoluto (mi risulta che non per caso le potenti organizzazioni mafiose non accettano che si possa ridere di loro) ; la circolazione della satira è, secondo me, indice di sana democrazia.