Sto leggendo, con un ritardo di 18 anni rispetto alla sua uscita, "Microcosmi" di Claudio Magris, "uno dei più grandi scrittori del nostro tempo" secondo Mario Vargas Llosa ad esempio (fu soprattutto lui che, con "Danubio" , mi aiutò a capire Vienna e anche la sua Trieste) , e nel primo capitolo ( "Caffè San Marco" ) trovo due meditazioni che possono esserci utili, invitandoci a un doveroso esamino di coscienza.
Una riguarda la letteratura in generale: "Forse scrivere è coprire, una sapiente mano di vernice data alla propria vita, sino a farla apparire nobile grazie ai suoi errori messi abilmente in vista mentre si finge di occultarli, con un tono di sincera autoaccusa che li rende magnanimi, mentre la sozzura resta sotto.Tutti santi, gli scrittori; sì, scavezzacolli, figlioli prodighi, pieni di vigorosi peccati ostentati con falsa vergogna, ma anime belle e grandi. Possibile che non ci sia fra noi nessun porco, nessun vero porco gretto e malvagio? "
L'altra riguarda più specificatamente la poesia: "La poesia dice l'assenza, qualcosa o qualcuno che non c'è più. Poca cosa, una poesia, un cartellino messo su un posto vuoto. Un poeta lo sa e non le dà troppo credito, ma ne dà ancora meno al mondo che lo celebra o lo ignora. "
Penso che ognuno di noi potrà trarre (come ho fatto io per me) qualche elemento di verità da questi schietti pensieri di Magris.