Ho corretto il titolo perché giustamente, nel forum "di cosa vogliamo parlare?" aperto
e condotto principalmente da India, come questo, si parla della difficoltà, nelle traduzioni
di poesie da altre lingue, di rendere la vera "anima" della poesia.
Pertanto, volendo continuare questo topic, posto due poesie di un'italiana.
SIBILLA ALERAMO, Nome d’arte di
Rina FACCIO
Rina Faccio, vero nome della scrittrice Sibilla Aleramo, nasce ad Alessandria il 14 agosto 1876.
Prigioniera in una convivenza squallida con un marito non stimato e di una vita condotta in una cittadina della quale percepiva il gretto provincialismo, credette di trovare nella cura del suo primo figlio Walter, nato nel 1895, una fuga dall'oppressione della propria esistenza: la caduta di questa illusione la portò a un tentativo di suicidio, dal quale volle sollevarsi attraverso un personale impegno a realizzare aspirazioni umanitarie attraverso le letture e gli scritti di articoli che le furono pubblicati, a partire dal 1897, nella «Gazzetta letteraria», ne «L'Indipendente», nella rivista femminista «Vita moderna», e nel periodico, di ispirazionesocialista, «Vita internazionale».
E’ stata la più importante scrittrice italiana a impegnarsi nel movimento di liberazione delle donne, sia con l'esempio della propria vita, sia attraverso scritti giornalisti, racconti e romanzi, tra cui il famoso Una donna. Ebbe una tempestosa relazione con Dino Campana.
NOME NON HA
Nome non ha,
amore non voglio chiamarlo
questo che provo per te,
non voglio tu irrida al cuor mio
com’altri ai miei canti,
ma, guarda,
se amore non è
pur vero è
che di tutto quanto al mondo vive
nulla m’importa come di te,
de’ tuoi occhi de’ tuoi occhi
donde sì rado mi sorridi,
della tua sorte che non m’affidi,
del bene che mi vuoi e non dici,
oh poco e povero, sia,
ma nulla al mondo più caro m’è,
e anch’esso,
e anch’esso quel tuo bene
nome non ha.
**********
La piccina ch'io ero mi guarda.
Te sola, fra tante ch'io son stata,
sola te non ricordo quale m'appari
in questa di me remota immagine.
Così ero? Ancora in specchi non ti miravi,
sapere non potevo se m'assomigliavi.
E or s'incontrano i nostri sguardi.
Come seria sei, piccina, e assorta,
parrebbe quasi veramente tu vedessi
quella che oggi io sono,
e in balenante prescienza vivessi
interi i settant’anni che ti attendevano,
lunghi anni e folti e gravi,
c'e nell'ovale dolce del tuo viso
come lieve, oh, lieve, alito di sgomento,
tu creaturina sana, amata, armoniosa,
così composta nella posa,
manine annodate in grembo,
piccina brava ch'io son stata
nell’età remota che non ricordo.,
ma or dimmi, per quanto mai tempo
ancora occorrerà aver coraggio, dimmi,
tu che fissamente con la luce dei penosi occhi
mi guardi mi guardi mi guardi?