Con il novecento tutto è cambiato. Precisiamo subito, non è che la metrica, intesa nel senso tradizionale, sia stata abbandonata, basterà nominare tre pietre miliari della poesia novecentesca: Pascoli, D’Annunzio, Montale.
Il metro dominante del secolo scorso è stato, però, il verso libero. Il verso libero non è un’invenzione recente, già nella poesia italiana delle origini era usato, sulla scorta di esempi biblici: il Cantico delle Creature di S. Francesco potrebbe esserne un esempio.
Accanto all’adozione del verso libero, nel novecento, si sono avute forme di contaminazione tra i generi della poesia e della prosa: le “Illuminazioni” di Rimbaud, per esempio, o la “prosa d’arte” di Cardarelli.
Si tratta, però, di prosa, si definisce, infatti, “poesia in prosa” o “prosa poetica”.
Ciò che ancora oggi distingue la poesia è di essere scritta in versi, siano pure essi “liberi”.
Un’altra peculiarità della poesia è il rapporto “alterato” tra significante e significato.
Intendo dire che in poesia le parole sono usate non soltanto per la loro funzione usuale di veicolare un significato, ma sono scelte, accostate, disposte, in forza del loro suono, della loro forma, degli effetti che queste loro caratteristiche non semantiche riescono a creare, e proprio attraverso ciò comunicano ulteriore significato.
Ecco allora, in una poesia tutti questi elementi: suddivisione in versi, scelta delle parole, il loro accostamento, la loro disposizione devono avere un senso che si sovrappone (al limite anche in contrapposizione, come controcanto) a quello che avrebbe la loro versione in prosa.
Mi ripropongo di tornare sull'argomento e sul testo che proponi (ora vado di fretta!).