I primi tre versi esprimono l’osservazione del mare di notte, le vele nel buio, il mistero che evocano nel cuore dell’autrice.
I due versi conclusivi staccano decisamente dai precedenti proponendo un’immagine suggestiva, un po’ ermetica, che richiama il mistero ed evoca l’illimitato.
C’è quindi l’osservazione del “qui ed ora”, l’inversione semantica tra prima e seconda strofa, con la seconda che suona come una riflessione dell’autrice.
Quello che invece mi sembra discostarsi dallo spirito “giapponese” è l’incedere metaforico: “mare d’inchiostro”, “segreti d’acqua”, “l’ampolla capovolta”, sono belle immagini poetiche, ma lontane dalla semplicità “osservativa” del tanka e dello haiku (naturalmente potrebbe essere, invece, una legittima ed originale interpretazione “occidentale” degli stessi).
Daistz Teitaro Suzuki, eminente studioso del Buddismo Zen, cita in un suo saggio (in “Psicoanalisi e Buddismo Zen – Fromm, Suzuki, De Martino – Ed. Astrolabio) un haiku di Basho:
Quando io guardo attentamente
vedo il nazuna in fiore
presso alla siepe!
E scrive:
“quello descritto nella poesia è dunque un semplice fatto, espresso senza alcuno specifico tocco poetico..”
“Basho era un poeta della natura, come la maggior parte dei poeti orientali, i quali l’amano a tal punto da sentirsi una sola cosa con essa, da avvertire ogni pulsazione, ogni battito delle sue vene…”
“Questo sentimento della natura si agitò in Basho quando egli scoprì una pianticella nascosta, quasi disprezzabile, fiorente presso la vecchia siepe in rovina lungo la remota via campestre, con tanta innocenza, con tanta umiltà, senza alcun desiderio di essere notata da nessuno. E tuttavia quando la si guardi quanto tenera, quanto piena di divina gloria o di splendore più glorioso di quello di Salomone essa appare! La sua autentica umiltà, la sua bellezza priva di qualsiasi ostentazione, suscita un’ammirazione sincera. Il poeta può leggere in ogni petalo il mistero abissale della vita o dell’essere…”